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Il Mein Kampf in edicola

Ho approfittato di un'iniziativa editoriale de Il Giornale e lo scorso sabato mi sono procurato l'edizione del Mein Kampf di Adolf Hitler che è uscita in allegato con il quotidiano.
Avevo già avuto tra le mani il testo che l'artefice del nazismo redasse durante il suo periodo di blanda prigionia, ma non ne avevo mai completato la lettura perché la copia non era mia e non ero ancora in grado di comprenderne pienamente i contenuti. Ho udito aspre polemiche verso la proposta de Il Giornale, ma le ho trovate stucchevoli, faziose, infantili, pretestuose e improntate a un becero buonismo. Per me la nota dolente non è stata affatto la lodevole pubblicazione di un libro dal forte interesse storico, bensì l'ho riscontrata in quanto sterile riproposizione di quest'ultimo nell'edizione del trentaquattro a opera di Bompiani: refusi sparsi, accenti invertiti e una qualità della stampa davvero dozzinale. Avrei preferito una nuova traduzione in un formato migliore e così, a fronte di tali condizioni, non avrei storto il naso neanche se il prezzo finale fosse stato un po' maggiorato. Mi sono comunque cimentato nella lettura e ho piazzato dei segnalibri adesivi nei punti che più di altri hanno catturato il mio interesse: al momento ho superato le prime centodieci pagine e conto di raggiungere l'ultima entro un paio di settimane.
Di certo non mi lancio nel tentativo di proporre un'analisi critica del manifesto politico di Adolf Hitler, tuttavia voglio qui annotare dei rimandi a quanto ho letto sinora affinché possa sostenere come, dal mio punto di vista, in ogni yang ci sia un po' di yin. Non intendo politicizzare questo appunto e mi auguro che nessuno lo faccia, ma tendo a credere che me ne sbatterei i coglioni se una tale e remota eventualità dovesse trovare compimento.

  • Non amo il parlamentarismo, di conseguenza mi si sono illuminati gli occhi quando ho letto che il movimento nazionalsocialista partecipava all'istituto parlamentare con il solo scopo di distruggerlo dall'interno poiché vi ravvisava "uno dei peggiori fenomeni della decadenza umana".

  • Sposo la critica secondo la quale le regole democratiche esistono solo affinché taluni se ne possano servire per il loro profitto e abbiano la facoltà di dimenticarsene all'uopo.

  • Per determinati individui l'esistenza stessa dello Stato fonda già la sua invulnerabilità e dunque quest'ultimo non serve gli uomini, bensì sono essi a servirlo con "una canina adorazione dell'autorità statale". In altre parole il mezzo si trasforma in fine e io non mi sento a disagio a condividere una tale opinione benché sia stata la stessa di Hitler.

  • Non credo che una nazione consista nel sangue e non penso che una mescolanza di cosiddette razze possa nuocerle, anzi, considero piuttosto ridicola una concezione così distante dalla realtà, ma ammetto che riconosco una certa valenza a tale aberrazione ideologica dalla prospettiva del mio senso estetico (nel quale, per altro, io stesso non rientro e di cui, di fatto, me ne fotto).

  • Sono un aperto sostenitore dell'eugenetica, ma probabilmente io poggio su motivazioni assai diverse da quelle che ispirarono il Terzo Reich. Anch'io credo che "chi non è sano e degno di corpo e di spirito, non ha diritto di perpetuare le sue sofferenze nel corpo del suo bambino", tuttavia tale punto di vista non può che restare un'astrazione poiché non è possibile fornire una valutazione oggettiva dei canoni suddetti; inoltre la storia e il consesso civile hanno conosciuto figure eminenti che sono scaturite da genitori di tutt'altra risma. Sostengo lo stesso una tale idea per la tutela del nascituro, affinché possa avere pressoché le stesse possibilità di sviluppo psicofisico dei suoi coetanei.
    È indubbio che talora degli svantaggi congeniti possono fornire la propulsione adatta affinché l'individuo raggiunga notevoli risultati di compensazione, e su ciò ci si può appoggiare a certi studi di Alfred Adler per corroborare (qualora ce ne fosse davvero bisogno) la validità del concetto di "inferiorità d'organo". Qual è dunque la strada da seguire e, soprattutto, può essere che uno zoppo la percorra meglio dei normodotati?

  • Mi trovo d'accordo in modo preoccupante con una precisa critica che Hitler muoveva al sistema scolastico del suo tempo. Per egli l'insegnamento dell'epoca prevedeva troppe cose e, giustamente, si rendeva conto che d'un tale bagaglio culturale rimaneva poco agli studenti e, dunque, auspicava che fossero impartite nozioni più essenziali: esse difatti erano eccessive per il tedesco medio ed esigue per quello che vi ci si doveva poi specializzare; tale ridimensionamento della didattica prevedeva inoltre un aumento del tempo da dedicare all'educazione fisica. Anche in questo caso posso fare mia una tale idea benché io la ritenga giusta per ragioni diverse da quelle funzionali al regime.

  • È innegabile che "un giovane contadino può possedere assai più talento che il figlio di genitori occupanti da molte generazioni un alto posto", però la "superiore cultura di quest'ultimo non ha, per sé stessa, nulla a che fare col talento più o meno grande, ha la sua radice nella maggior copia di impressioni che il fanciullo riceve in grazia della sua varia educazione e dell'ambiente che lo circonda". A ciò, anch'esso presente tra visioni più o meno deliranti del Mein Kampf, non posso obiettare nulla, ma d'altro canto non so quanto sia corretto decontestualizzare i punti ai quali mi sono rifatto: può darsi che commetterei lo stesso sbaglio se riservassi un identico trattamento a quanto ho scritto finora tra il serio e il faceto…


Letture parallele e analoga serietà. Sturmtruppen di Bonvi e il Mein Kampf di Hitler.
Francesco

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