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Fanatismo sunnita, stragismo domestico e pragmatismo

Quand'ero bambino sentivo parlare dell'intifada e quel conflitto ìmpari mi sembrava di un altro mondo, ma probabilmente lo percepivo così distante dalla mia realtà in quanto non disponevo degli attuali mezzi d'informazione.
Non in termini spaziali, bensì temporali, mi sembrava altrettanto lontana la stagione degli anni di piombo, con tutte le sue macchie nere e rosse che tra le ombre della strategia della tensione erano comparse in zone grigie e talora per mano di eminenze del medesimo colore.
Ricordo le stragi di Capaci e di Via d'Amelio, il maxiprocesso, le inchieste di Tangentopoli e tutto ciò che ne seguì, ma, forse complice l'età, mi pareva che il mio mondo stesse voltando pagina.
Dopo meno di due lustri dai fatti di cui sopra giunse l'undici settembre: avevo diciassette anni e mi ricordo benissimo l'incredulità con cui seguii gli eventi. Furono in particolare gli attentati alle Torri Gemelle che con la loro spietata spettacolarità mi catturarono profondamente.
Nel corso degli anni il mio stupore è scemato a ogni azione terroristica di cui sono stato coevo e oggi non mi sorprendo più quando qualcuno si fa saltare in aria o apre il fuoco su gente inerme. Non mi considero insensibile e ho speso un po' di tempo a indagare certi meccanismi della mia specie, perciò talora è come se assistessi a uno spettacolo di magia conoscendone già i trucchi.
Non credo alla democrazia, preferisco il pragmatismo agli ideali, mi piacciono i confini, i muri, le frontiere perché garantiscono più libertà e sicurezza di quanto offrano le loro aperture: d'altro canto è evidente l'attuale paradosso alla luce di cui le possibilità di viaggiare si sono ristrette per motivi di sicurezza benché il mondo si sia globalizzato.
Mi fa ridere la retorica terzomondista e credo che su questo pianeta debba esserci sempre una potenza egemone poiché l'egemonia è immanente alla natura umana, perciò sono certo che se gli Stati Uniti non avessero fatto gli sceriffi del mondo forse i sovietici ne sarebbero diventati gli ussari. A questo proposito mi viene in mente anche la Reconquista spagnola e immagino che se le dinastie arabe avessero vinto poi avrebbero tentato un'ulteriore espansione.
Alcuni territori ne hanno sottomessi degli altri perché tale è l'indole umana in termini collettivi e risponde anche alle leggi di natura, dunque trovo che i sensi di colpa siano i figli illegittimi di una vocazione naturale a cui se ne oppone una di tenore contrario, tuttavia anch'essa spontanea e legata a doppio filo alla propria antagonista. Per scomodare Eraclito cito l'enantiodromia come concetto chiave di ogni dinamica a portata d'intelletto.
Non credo ai buoni selvaggi, benché di questa regola io ammetta delle eccezioni tribali, e quindi non mi lascio impietosire dalla favola dell'uomo bianco che supera in crudeltà le minoranze: ecco dove reputo uguali gli esseri umani, ovvero in quelle tendenze di cui Hobbes è stato un acuto interprete. Se certi popoli non ne avessero assoggettati degli altri probabilmente loro stessi sarebbero rimasti sotto un medesimo giogo. Non escludo a priori che l'utopia pacifista un giorno possa prendere le sembianze di un'inconfutabile realtà, ma tale prospettiva è lontanissima dalla storia nonché dai tempi correnti. Scrivo queste cose nell'ovatta del mondo occidentale e so che ne scriverei o quantomeno ne penserei altre diametralmente opposte a queste se provenissi da un contesto del tutto diverso dal mio: a tal punto è volubile quell'obiettività con cui ognuno cerca di ammantare ciò che giace dalla parte della sua barricata.
Già lavate come quelle di Ponzio Pilato sono le mani che si sforzano di portare l'acqua ai propri mulini; e dunque che alla fine ognuno goda delle proprie messi.

Francesco

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