Per me non c’è una rivoluzione d’ottobre e difatti plurimi tratti della mia esistenza sono ancora stazionari, però ogni giorno apprendo qualcosa di nuovo e non mi lascio trascinare da alcunché di vecchio. Dopo molto tempo ho rimesso le mani su un libro incompiuto, ma non sono ancora certo di terminarne la stesura. Mi rendo conto di come talora sia davvero importante prendere le distanze da qualcosa o da qualcuno per conseguirne una visione d’insieme più accurata che renda giustizia alle debite proporzioni, però a volte questi periodi di transizione suonano come un requiem sulle relazioni tra soggetto e soggetto od oggetto e soggetto: si fanno irreversibili. In queste sere d’autunno, che la settimana volga al termine con i bagordi sabbatici di chi non aspetta altro o proceda come una via crucis per gli altri sei giorni, io resto sempre a casa, nella mia stanza rossa ad approfondire determinate letture; a farmi compagnia tra i dischi in vinile e i libri c’è di nuovo il piccolo Heidegger; così ho chiamato il randagio felino che per cause di forza maggiore ho dovuto sistemare per un paio di mesi in altro loco, come in quarantena.
Attraverso un periodo piuttosto tranquillo su cui ogni tanto si abbattono degli afflati creativi che non trovano un’espressione immediata, ma confido che le loro influenze celesti si depositino nel mio inconscio affinché all’uopo io possa attingervi senza manco accorgermene. Al momento non ho nulla di cui lamentarmi nel mio microcosmo, laddove la giurisdizione mi appartiene in toto e ogni effetto è una eco di me, la prima causa, ma d’altronde non può essere altrimenti: mi basta ricordare quanto fu ottenebrato lo scorso autunno per gioire di quello attuale. Non mi adagio sugli allori, ma non pretendo manco che attorno a me ci siano sempre dei roseti in fiore.