Pubblicato giovedì 23 Luglio 2015 alle 03:26 da
Francesco
Non conosco più la noia da quando all’inizio della post-adolescenza la solitudine mi introdusse nell’età della ragione, ma gli ultimi sette giorni per me sono stati più intensi del solito.
Annoto tutto insieme poiché voglio assentarmi ancora di più da queste pagine per ritornarci a tempo debito con una nuova verve. Comincio dal fatto meno rilevante, ovvero l’inizio della lettura dei seminari di Carl Gustav Jung (oltre milleseicento pagine) su Così parlò Zarathustra di Nietzsche (su per giù quattrocento pagine nell’edizione Adelphi che lessi anni or sono e che mi accingo a rileggere per l’occasione). Si tratta di un lungo viaggio che ho rimandato più volte e di cui ora sto facendo il primo passo poiché le circostanze mi invitano a farlo. Ho persino ripreso in mano una penna e dunque mi sono fatto amanuense per annotare di mio pugno quello che reputo interessante, difatti per un’opera così complessa le sottolineature a lapis e i segnalibri adesivi mi sembrano insufficienti. Non mi cimento in un’avventura del genere come se fossi uno studente universitario o come se volessi aggiungere degli altri volumi nella mia biblioteca, bensì il mio approccio è quello di un individuo che vuole raggiungere con tutto se stesso quelle vette pericolose e tale brividio è già favorito dalle nature complementari dei due testi. Se mi andasse d’indugiare nel citazionismo allora chiamerei in causa Manlio Sgalambro e la sua idea di epigono per spiegare meglio le mie intenzioni, ma già con questo accenno mi sono spinto troppa in là.
Nella mia casa è arrivato un nuovo felino, ma devo ancora capire se con lui mi troverò bene o se il nostro rapporto sarà caratterizzato da una certa indifferenza. Io non idealizzo gli animali e mi ci rapporto come se fossero delle persone, perciò è perfettamente nell’ordine delle cose che con qualcuno di essi sia in perfetta sintonia e con qualcun altro invece non abbia intesa alcuna.
Ogni animale (uomo compreso) ha la sua indole, ma ci vuole del tempo prima che questa mostri gran parte di sé e dunque attendo fiducioso. C’è comunque una tenerezza nei primi vagiti della vita che suscita in me un’empatia mai banale, come se ogni volta si rinnovasse senza farsene accorgere, ma la magia dell’infanzia ha una data di scadenza, così come la vita stessa.
Aggiungo il breve resoconto dei quattro giorni che ho trascorso on the road.
Sabato mattina sono sceso dal letto con uno dei due piedi, non so se fosse quello giusto o quello sbagliato, e ho deciso di partire. In me s’era fatta strada (eh già, proprio così) una forte voglia di guidare e poiché non avevo impegni da rispettare né gioie da condividere ho preso la mia auto e mi sono diretto verso nord. Ho raggiunto il traforo del Monte Bianco e per un po’ ho transitato in Francia, ma l’aria di montagna non ha mai fatto per me e così ho attraversato tutta la pianura padana per puntare di nuovo verso sud. Ho percorso tremiladuecento chilometri in quattro giorni: è stato un viaggio nel vero senso della parola… Per tre notti ho dormito in auto nelle piazzole autostradali e una notte l’ho trascorsa in una stanza a Benevento: a proposito, è davvero adorabile questa cittadina campana e spero davvero di tornarci; se solo fosse stata sul mare me ne sarei innamorato senza riserve! Mi sono spinto fino a Matera attraversando Puglia e Molise (i miei itinerari non sono stati ottimizzati dal navigatore, bensì sollecitati dall’istinto) e mi sono goduto una splendida mezza giornata tra i meravigliosi sassi della cittadina lucana.
Mi ha fatto bene questa piccola pazzia e per quanto gravosi (il caldo, le poche ore di sonno, le scomodità e la fatica di tutte le ore al volante) questi giorni mi hanno lasciato qualcosa di utile.
Per festeggiare il mio rientro a casa sono riuscito a farmi crollare addosso la porta scorrevole in vetro della doccia e così ho fatto un salto al Pronto Soccorso dove ho ricevuto un codice verde per il mio sangue rosso. Mi sono stati dati dei punti sull’indice sinistro e un’altra medicazione sul gomito destro, ma nulla di grave e ne avrò per una settimana: ne consegue che non potrò farmi le seghe né esercitarmi a suonare Layla sulla chitarra elettrica.
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Pubblicato giovedì 16 Luglio 2015 alle 22:28 da
Francesco
In quest’estate torrida il Medio Oriente è infuocato come in tutte le altre stagioni e altrove la culla dell’Occidente intona il canto del cigno, ma purtroppo i conflitti bellici e le crisi economiche non risentono delle parole che ne descrivono la crudeltà; il mio cuore invece è ancora terra di nessuno, una colonia mancata, la perfetta enclave di una vicinissima lontananza.
Nel tempo libero mi faccio salmastro, leggo, scrivo e raccatto nozioni che poi stivo in zone più o meno accessibili della memoria. Preparo pasti deliziosi che consumo al cospetto della mia ombra e talora mi reco a mangiare da solo in qualsiasi luogo che mi permetta di avere un’ampia scelta benché io vi escluda la carne. Ogni tanto m’intrattengo con esponenti dell’Arma dei Carabinieri che puntualmente mi fermano per chiedermi ragguagli sulla mia identità, ma quest’ultima è più di quanto possano attestare i miei vacui documenti o forse è meno di ciò che questi riportano. Insomma, per me non c’è molto di nuovo sotto il sole cocente di luglio, ma ho ragione di credere che anche ai primi abbassamenti delle temperature sulla mia vita non si alzerà niente d’inedito. Queste mie parole possono sembrare il misurato lamento di un individuo solo, ma non è questo il loro scopo perché io ho imparato a vivere bene una certa linearità: temo invece i cambiamenti forzati che sono posti in essere dietro ordine di sua volgare maestà l’impazienza.
Di sicuro anche per me verrà il tempo d’importanti mutamenti, ma non faccio oggetto di vaticinio la loro entità e i modi in cui si manifesteranno. Ormai il più nero dei miei autunni è alle spalle e ho ritrovato da un po’ di tempo uno stato di quiete che in passato ho già esperito più volte, ma anche lo stesso docile vuoto ha rifatto la sua timida comparsa e ora tutto mi è tornato familiare. Non è importante che i cambiamenti si abbattano su di me come una pioggia salvifica dopo un lungo periodo di siccità, ma è bene che io sia aperto alla loro eventuale venuta e, a meno che la vista interiore non m’inganni, le porte del mio Io sono spalancate come se fossero quelle di una chiesa abbandonata. Voglio concludere con delle parole di Juri Camisasca che sento mie.
“Lungo la strada ricordo i miei anni in penombra
i tumulti lontani non hanno più presa
non ho più pretese, va avanti da sé
il mio rapporto con gli eventi”
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Pubblicato mercoledì 8 Luglio 2015 alle 02:05 da
Francesco
Ho trascorso la notte del tre luglio a contemplare la volta celeste attraverso il lungo occhio del mio modesto telescopio e, in modo molto tutt’altro che elegante, sono riuscito a fotografare la pallida compagna della Terra.
Sono affezionato a questo primo scatto benché non sia niente di speciale. Le mie osservazioni si concentrano ancora sui pianeti in quanto mi è facile rinnovare lo stupore che questi mi trasmettono e dunque sacrifico l’aspetto didattico delle mie sessioni per qualche emozione notturna, però a tempo debito poserò di più lo sguardo su zone meno celebri del firmamento.
A tu per tu con l’unico satellite terrestre mi è venuta in mente una vecchia canzone di Claudio Rocchi, La tua prima luna: un pezzo di appena… quarantacinque anni fa. In realtà quella a cui si riferisce Rocchi la vidi ancor prima che pensassi di soffermarmici, ma alla fine è sempre la stessa e per me cambia soltanto la maniera di guardarla (o forse il modo di osservarmi).
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Pubblicato mercoledì 1 Luglio 2015 alle 20:17 da
Francesco
Sulla scorta di una lettura recente mi sono trovato a riflettere sull'eventualità che un giorno la coscienza possa essere tutta determinata come mera attività cerebrale, ma paradossalmente un'ipotesi così fisicalistica è al momento tanto metafisica quanto quelle a cui indirettamente si oppone. Il riduzionismo meccanicista fa storcere il naso ai miei aneliti più profondi, ma se fosse davvero alla base di tutto non potrei che prenderne atto; d'altro canto una simile accettazione renderebbe la tristezza meno dolorosa poiché inevitabile, non più gravata dalla responsabilità del libero arbitrio. Qualora si verificasse un tale scenario mi chiedo a quale grado assurgerebbe una siffatta attività compensatoria, non soltanto nel ridimensionamento delle emozioni negative (ancorché talora queste risultino formative), ma soprattutto in rapporto a quelle positive; forse ne risulterebbe un appiattimento sempre maggiore, proporzionato al livello di consapevolezza dell'ipotesi suddetta, fino al punto di un annullamento pressoché totale della polarità? Fino alla scomparsa d'ogni dicotomia? E così che fine farebbero i rapidi e impercettibili movimenti del Tao? Questa mia congettura conclusiva mi ricorda il concetto del nirvana buddhista e se vi trovasse risonanza allora per taluni (me compreso) potrebbe rivelarsi persino auspicabile.
Mi domando se il solo bisogno di aspirare ad una libertà superiore non testimoni già l'esistenza di quest'ultima su dei piani altrettanto elevati. Come può essere meccanico qualcosa che sia in grado di aspirare a ciò che per i limiti della sua natura non dovrebbe riuscire manco a concepire? Ai miei occhi, e non escludo che io pecchi di semplicismo (o ne tragga vantaggio), è come se i componenti di un circuito elettrico cessassero le proprie funzioni per interessarsi all'ontologia; diodi, resistenze e condensatori intenti a chiedersi quale sia il loro ruolo, il loro scopo, la ragione ultima della loro presenza in uno schema così limitato…
Un individuo come me è interessato alla verità, qualunque essa sia, però io in quale misura mi distinguo da qualcun altro per la disponibilità d'accoglierla a dispetto dei miei legittimi desideri? Si tratta soltanto di connessioni neurali sulle quali hanno agito un imprinting di un certo tipo e determinate influenze dell'ambiente in cui sono cresciuto? Tutto si riduce ad una commistione di processi fisiologici e culturali? Non sono un apologeta in alcuna accezione del termine, inoltre mi professo ateo per ragioni di cui non digredisco affinché questo breve appunto non ne risenta, ma è proprio l'autenticità che tento d'imprimere alla mia ricerca interiore (quindi il metodo qui è prioritario al fine stesso, com'è giusto che sia) ad impedirmi una posizione netta. Di sicuro io ho solo delle intuzioni, ma i contenuti di queste non sono altrettanto certi.
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