Ero in procinto di sostenere un aspetto della Gestalt a discapito del comportamentismo, ma poi ho lasciato perdere: ne avrei scritto qualcosa solo se fossi riuscito a iniziarne la stesura con la ferma intenzione di eliminarne tutte le parole, compresa l'ultima. L'arte di disfare e il gusto dello sfacelo non mi appartengono, ma ora non ho la benché minima voglia di sterili speculazioni sulla profonda diversità che vige fra due verbi di abuso comune: vedere e pensare.
Ho bisogno di esperienze mistiche e non di frasi, neanche di quelle che compongono le formule magiche. La realtà mi va un po' stretta o viceversa, ma ho ancora spazio e modo per trovarne la giusta misura. Scrivo a caso, però manco troppo: lo faccio per gioco e lenimento. Se fossi Joyce non mi troverei qua, ma in una tomba di Zurigo. A me non interessa il flusso di coscienza, bensì che quest'ultima resti in castigo il tempo necessario affinché le sue silenti compagne ricevano udienza. Per qualcuno i grandi insegnamenti vanno bene solo quando tutto va bene, come se le cause dovessero fare pendant con gli effetti: d'altronde le mode vanno e vengono proprio come le vite umane. Le differenze sostanziali si facciano carico delle loro presentazioni o periscano: io sono assicurato contro la vaghezza. Litighiamo, amiamoci, creiamo nuovi mondi o estinguiamo quello che diamo per scontato. Ectopirosi, once again.
All'aquila invidio il volo, l'apertura alare e soprattutto il suo dono, come per mano di Castaneda. Non mi sono mai stati concessi dei sogni lucidi, ma un tempo ne possedevo degli altri che invece non si sono mai concessi alla realtà: quasi proibiti i primi, altezzosi i secondi.
Abbraccio lo schienale d'una sedia su cui non si metterà mai nessuno: anche le assenze hanno i loro posti riservati e tali rimarranno (riservati). L'alba, un giorno nuovo e l'ottimismo che non stride con la realtà dei fatti: tanto può il riposo, la fiducia in sé stessi e chissà quante altre cose di cui non mi avvedo. Con il naso all'insù guardo per un momento quello che c'è.
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