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La presenza mentale

Circa una settima fa mi sono recato presso un piccolo osservatorio astronomico per assistere ad una breve lezione sulla materia e l'energia oscura nell'universo, tuttavia la mia attenzione è stata catturata più dalle interazioni dei partecipanti che dall'oggetto di discussione.
Ho constato la diffusa incapacità di stare cinquanta minuti in silenzio ad ascoltare qualcuno che spiega qualcosa. Ho avuto lo stesso tipo d'insofferenza per tutto il mio iter scolastico, ma in quel caso io ero obbligato (ancorché mi sottraevo con assenze e svogliatezza) a stare seduto per cinque ore consecutive e quindi, a differenza dell'evento di cui sopra, non lo avevo scelto.
La lezione in sé non mi ha entusiasmato molto poiché a mio avviso mancava di quel mordente che pochi (o almeno suppongo tale esiguità) sanno instillare nelle loro opere divulgative, però ho approfittato delle circostanze per esercitare la mia attenzione in un contesto tutt'altro che coinvolgente: per me è stato un espediente attraverso cui ho tentato di essere presente; forse anche sforzi del genere avvicinano ad una più ampia comprensione dell'universo.
Inoltre ho notato come la vanità e lo sfoggio di erudizione tendano a prevalere sull'acquisizione di nozioni, come se la priorità fosse quella di trovare il modo di mettersi in luce, quantunque si tratti della luce riflessa di conoscenze a disposizione di chiunque voglia investirci del tempo: ciò vale negli ambiti più disparati e ai miei occhi denota un infantislimo archetipico di cui anch'io mi sento colpevole in certi casi.
Da quando sono tornato dal mio lungo viaggio ho iniziato a cimentarmi con nuovi interessi, in campi in cui ho scarsa dimestichezza e dove riesco lo stesso ad eludere le frustrazioni dei primi passi: una di tali attività è l'osservazione della volta celeste. Forse mi sono avvicinato ancor di più a quanto è infinitamente grande e infinitamente piccolo perché non ho ancora trovato sagge, stupefacenti e copernicane rivoluzioni di mezzo. Tempo al tempo.

Francesco

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