Domenica mi sono recato a Terni per correre la maratona di San Valentino. Lungo il tragitto ho tratto fiducia da lontani nembi che minacciavano tempesta, difatti le mie gare migliori sono state tutte sovrastate da cieli plumbei. L’oracolo atmosferico ha trovato pieno compimento lungo i quarantadue chilometri del percorso e la mia prestazione è stata superba: non c’è appello per le sentenze di Kronos e della corsa amo proprio il suo tratto categorico in relazione al tempo.
Ho alzato la cresta e ho abbassato di quasi otto minuti il mio record personale di maratona: ho tagliato il traguardo in 2h 50m 34s, ventesimo assoluto e quinto di categoria. Per metà gara ho tallonato la prima donna, la croata Vrajic, poi l’ho staccata e ho mantenuto un’andatura media di 4’03”. Ho aspettato una crisi che non è mai arrivata e questa volta l’azzardo è andato bene. A ridosso del trentottesimo chilometro ho iniziato ad avvertire delle fitte alla milza che sono riuscito a gestire e non ho avuto altri disagi. Ho anche fatto negative split, ovvero ho corso la prima metà più lenta, in 1h e 26m, e la seconda più veloce, in 1h e 24m.
Il mio unico rifornimento è stato una bottiglietta d’acqua che ho preso verso il trentacinquesimo chilometro: l’ho bevuta metà (più per prevenire un eventuale caso di ematuria che per sete) e l’ho gettata. Non ho assunto solidi perché non ne ho sentito il bisogno ed è stato meglio così.
Mi ha ripagato in toto il cambio di allenamento che mi sono imposto e che ho ricamato sulle mie esigenze. Non sono alla ricerca ossessiva di miglioramenti e non mi lamenterei affatto se il tempo di questa maratona rimanesse per sempre la mia prestazione migliore sulla distanza classica: la mia esistenza non ruota attorno alla corsa, ma ne trae beneficio.
Questa accozzaglia di numeri e impressioni ha anche un’altra matrice che fa riferimento al già citato salto d’ottava e di fatto ne è una conferma trascurabile
Solo qualche mese fa, in quell’autunno così nefasto e tormentato, ho pensato che non avrei più fatto una gara per parecchio tempo e invece sono tornato a correre più forte di prima. Quando non c’era nessuno accanto a me, proprio come non c’è ora e non c’è mai stato prima, ho cercato di risvegliare lo spirito dei miei avi perché sono sicuro che tra uno di loro c’è stato un grande uomo. Ormai indosso sempre una hachimaki, una bandana giapponese, che a qualcuno può sembrare soltanto un vezzo, ma per me simboleggia l’odissea degli ultimi mesi e la forza che ho ritrovato dall’altra parte del mondo. Chissà domani cosa fileranno le Parche.
Maratona di San Valentino 2015: una grande soddisfazione
Pubblicato giovedì 19 Febbraio 2015 alle 19:03 da FrancescoÈ una stupenda giornata di febbraio. Ho la sensazione che la primavera si aggiri in incognito ed è come se qualcosa nell’aria trami per rendermi felice. C’è un sensazione piacevole da cui sono pervaso e ho il sospetto che sia destinata a crescere: io comunque me lo auguro di cuore.
Alcuni strascichi interiori sono in piena evanescenza, ma immagino che ci voglia ancora un po’ di tempo affinché la loro estinzione sia completa. La mancanza di un attracco sicuro per me non si fa sentire quando il mare è piatto o, per saltare fuori dall’allegoria come se fossi un pesce fuor d’acqua, certi stati d’animo non hanno presa su di me quando la mia esistenza si snoda in una certa linearità. Non ho il controllo completo degli eventi e non posso darmi un buffetto la cuore per risolvere magicamente certe cose come se fossi Fonzie alle prese con un jukebox, però mi è dato di cogliere il momento giusto per accompagnare cambiamenti spontanei: kairos!
Conosco a menadito i miei desideri coscienti, i loro limiti forse invalicabili e gli argini con i quali prevenirne le esondazioni: non affogo né navigo su fondali troppi bassi e di tanto in tanto vedo qualche cadavere che il fiume trascina chissà dove.
Quest’oggi è il soul di Charles Bradley che mi accompagna in faccende trascurabili, di cui forse rimarrà soltanto una flebile traccia nei dettagli secondari di qualche sogno da interpretare.
Trentasei minuti e quarantaquattro secondi
Pubblicato domenica 8 Febbraio 2015 alle 18:42 da FrancescoMi ritrovo a scrivere di corsa (non nel senso che ho fretta) perché stamane ho partecipato per la prima volta ad una gara di dieci chilometri. Il mezzofondo prolungato non è la mia specialità e di solito prediligo distanze maggiori, però ho colto l’occasione per capire quale sia il mio valore su diecimila metri piatti. Ho corso a 3’40” al chilometro e ho concluso al decimo posto in 36’44”.
Non mi aspettavo di essere così veloce e mi ritengo soddisfatto poiché non è un tempo da tutti sebbene in una gara media occorrano quasi tre minuti di meno per una prestazione da podio.
Bene, ora che ho constatato i numeri posso anche fottermene delle statistiche poiché di certo non è da queste che posso trarre la gioia di cui ho bisogno. Qualche mese fa pensavo che forse non sarei mai tornato a disputare una gara, ma ci sono stato riportato a forza da una serie di cosiddette circostanze che si sono verificate prima e durante la mia permanenza alle Hawaii.
Gestisco i miei allenamenti solitari in modo tale che non intralcino quei nuovi interessi ai quali ho cominciato a dedicarmi da un paio di mesi. In realtà vorrei rivedere totalmente l’ordine delle mie priorità per mettere in cima qualcosa che ora come tanti anni fa mi sembra lontanissimo.
Mi sento più forte rispetto a qualche mese fa, perciò gioco ad armi pari con gli spettri che ancora si presentano nelle mancanze a cui spesso mi riferisco. Forse ora il mio carico emotivo è persino maggiore di quello che ha pesato su di me nel primo autunno, tuttavia riesco a tollerarlo meglio perché le mie forze sono aumentate. Non è buffo come un’avversità inferiore in un periodo di debolezza abbia più consistenza di una grande difficoltà in un momento di vigore?
Sono ancora lontano da quella serenità che non di rado ho esperito nel corso della mia giovane esistenza e alla quale intendo tornare il prima possibile. C’è qualcosa che adoro in questa lotta tra me e me stesso benché in certi frangenti risulti davvero pesante e prospetti le più nefaste conseguenze. Non ho alleanze e forse non posso stringerne. Non perdo mai di vista quello che accade ad altre latitudini; non mi chiudo a riccio, bensì tratto le mie questioni come se fossero dei conflitti globali poiché in questi vi ritrovo facili analogie con i miei dissidi interiori e suppongo che tali parallelismi siano validi in molti altri casi. Non disserto granché su quanto succede in quest’epoca disgraziata, ancorché i suoi flagelli non mi sembrino affatto inediti alla mia specie, e preferisco concentrarmi su di me in quanto ho una possibilità realistica di cambiare, ma sono del tutto consapevole di come un’inclinazione così introspettiva non sia invitante e al contempo non credo che una cosa escluda necessariamente l’altra.
Inizia ad essere tardi, fuori è tutto bagnato e se ora un uomo solo passeggiasse per certi vicoli bui non troverebbe neanche un balordo ad aspettarlo, perciò nulla ne interromperebbe la ridda di pensieri. Forse un giorno queste parole saranno rilette da quattro occhi, forse no.
Né all’alba né sulla via del tramonto
Pubblicato giovedì 5 Febbraio 2015 alle 23:02 da FrancescoNegli ultimi due giorni ho faticato molto a prendere sonno, ma penso che avrei avuto ancora più difficoltà se non mi fossi trovato nelle buone condizioni in cui verso. Le ragioni che stanno dietro a questa complicazione sono le stesse da diciotto anni e affondano le radici nella mancanza di affetto. Ho iniziato alle scuole medie a confrontarmi con un certo tipo di assenza, quando per la prima volta avvertii una spontanea e inconfessabile attrazione verso una coetanea di cui ancora serbo il lontano ricordo. Purtroppo ci sono dei pensieri che in certe circostanze sfuggono al mio controllo, in particolare quando trovano terreno fertile nella stanchezza, tuttavia resisto e non lascio che mi sopraffacciano. Al momento del risveglio qualsiasi tensione è risolta, i dubbi sono dipanati e torno in possesso delle mie forze, rinvigorito e pronto a trascorrere un altro giorno su questo pianeta, l’ennesimo di pochi, l’ennesimo di tanti.
Mi sento distante dai miei simili, non ho punti di contatto e la mia estroversione non ha granché di cui fregiarsi, ma tento d’espormi a delle influenze positive per avere uno scambio proficuo con me stesso: certe letture, certa musica, la corsa, lo studio individuale, qualche buon film, la masturbazione, una buona alimentazione, talora frugale, la meditazione e un certo abbandono. Vorrei dare qualcosa in più alla mia esistenza, renderla meno autosufficiente senza per questo pendere dalle labbra di qualcuno: tutt’al più farle incontrare con le mie a metà strada, magari a mezzo metro da terra. Conduco una vita che per taluni sarebbe insostenibile, per qualcun altro auspicabile: per me v’è sempre margine di miglioramento. Scrivere mi aiuta molto, forse più oggi che in passato e talvolta è come se ci fosse qualcosa di magico nelle parole che mi rivolgo.
Domenica mi sono recato a Vetralla per prendere parte ad una gara di trail: trenta chilometri da correre lungo i sentieri del monte Fogliano con un dislivello di oltre millecinquecento metri!
Alla partenza ho suscitato alcune perplessità poiché mi sono presentato con scarpe da strada e una mise leggerissima, in netto contrasto con l’abbigliamento di tutti gli altri e con tutto ciò che prescrive il buon senso. Non mi considero affatto un atleta da trail, però ho sfruttato la difficoltà di questa gara per preparare una maratona. Se lo stesso giorno ci fosse stata una corsa su asfalto di pari lunghezza forse avrei scelto di partecipare a quella, ma alla fine sono stato felice che non ci siano state alternative perché l’evento si è rivelato piacevole sotto ogni aspetto!
Attorno al quinto chilometro mi sono portato in seconda posizione, però mi sono frenato un po’ quand’è iniziata una serie di discese veloci sulle quali non ho voluto rischiare una brutta caduta. Verso l’undicesimo chilometro ho dovuto fare i conti con una fitta nevicata e la scarsa visibilità, ma il peggio è arrivato poco dopo. Sono caduto tre o quattro volte: qualche escoriazione, un po’ di sangue e molto fango. Ho faticato parecchio in salita e anche se per un tratto ho perduto qualche posizione non mi sono perso d’animo. Piano piano ho ritrovato le forze e, sempre che io non ricordi male, la mia rimonta è cominciata dal diciannovesimo chilometro.
Ho sorpassato diversi atleti che mi avevano superato e ho affrontato le ultime discese con una certa audacia, difatti ho corso il ventiduesimo e il ventitreesimo chilometro a 3’46” e il penultimo a 3’45”: ho rischiato di farmi male e così ho interpretato in pieno il significato della bandana giapponese che indossavo. Ho concluso la gara al nono posto su centoquarantaquattro atleti in tre ore e un minuto. Direi che non è andata male per uno che ha corso senza abbigliamento tecnico. Qualcuno non avrebbe scommesso nemmeno una rupia bucata sulle mie possibilità di finire la gara, ma tanto sono abituato ad essere sottovalutato in ogni ambito dell’esistenza.
Ho trascorso una domenica piacevole e faticosa, l’organizzazione è stata impeccabile e sono tornato a casa soddisfatto. Avrei preferito possedere un buon motivo per restarmene sotto le coperte, ma certe cose vanno come devono andare o forse no, chissà.
Quest’oggi ho corso per trenta chilometri in mezzo alla neve e al fango, ma rimando ad un altro momento il resoconto della gara e mi limito a prendere spunto dai pensieri che l’hanno scandita.
Un tempo correvo per compensare le mie mancanze affettive e in questo modo riuscivo a vivere bene nel deserto emotivo in cui ancora dimoro, poi la sublimazione è terminata e sono cambiate le ragioni delle mie falcate. Mi sono reso conto che adesso corro per imparare a morire, cosicché al momento della mia ora io non sia del tutto impreparato, però auguro a me stesso di vivere a lungo e soprattutto bene! Quest’ultimo è un auspicio che rinnovo di tanto in tanto e dunque spero di potermelo ripetere molte altre volte ancora, ma allora dovrei augurarmi lo stesso per la speranza di ripetere l’auspicio di cui sopra: in realtà sono più semplice di quanto appaio.
Platone stesso afferma nel Fedone che la “filosofia è imparare a morire” e Seneca si occupa di quella che egli chiama ars moriendi, perciò ormai asservisco la corsa e i suoi sforzi a questo tipo di studio: mi occupo della fine. Qualche mese fa ho attestato la scomparsa della sublimazione e già allora sapevo che qualcos’altro le sarebbe subentrato: adesso la sostituzione è chiara.
Oltre a macinare chilometri continuo ad accumulare nozioni, però non credo che l’aumento del bagaglio culturale sia necessariamente un bene e mi sembra che non di rado tale incremento abbia una spinta vanesia quanto quella che induce certuni (compreso il sottoscritto) a lavorare sull’ipertrofia muscolare. Ripeto: sono più semplice di quanto appaio. Anche a Seneca era invisa un certo tipo di conoscenza e c’è un passaggio di una sua lettera in cui secondo me lo dichiara in modo efficace: “Voler conoscere più del necessario è una forma di intemperanza. Che dire poi di questa moda che ci fa seguire le arti liberali e ci rende importuni, prolissi, intempestivi e vanesi e ci ci fa trascurare il necessario perché abbiamo imparato il superfluo?”.