È trascorsa meno di una settimana da quando ho fatto ritorno nella mia Itaca e tutto è rimasto come l’ho lasciato al momento della partenza. Mi sono riappropriato delle mie buone abitudini e mi sento già in pace con me stesso. Rinvigorite, nuovamente fiere e dislocate lungo il limes della mia individualità, così si presentano le legioni di umori, sentimenti e pensieri di cui sono a capo dentro il mio capo. Non ricevo ambasciate e attorno a me non odo lingue conosciute benché la torre di Babele sia lontana.
Ho saputo sfruttare i venti per rimettermi in sesto e adesso sono più forte di quanto sia mai stato. Non mi bastano le parole altisonanti o le suggestioni temporanee, per questo cerco e trovo le conferme che esigo nel mio approccio alla routine quotidiana. Questa volta la risalita è stata più lenta e mi è occorso il favore delle circostanze per accelerarla, però ora anche la soddisfazione è maggiore e chissà se gli dèi stanno a guardare. Vorrei chiedere udienza alla pizia di Pozzuoli, tuttavia il silenzio ce l’ho già e mi è più familiare di qualunque cosa possa infrangerlo. Devo stare al mio posto perché altro non mi è concesso, ma da qua godo di un’ottima vista. Benché lungi dal suo termine, non c’è altro inverno che mi sia stato più caro di quello che ancora mi punge ad ogni risveglio antelucano. Condivido tutto con me, perciò non devo neanche spezzare i pani.
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