E fu così che una mattina di novembre mi ricongiunsi con una parte di me. Adesso ogni cosa è al suo posto e di posto ve n’è ancora tanto. Sono ispirato da una nuova e spontanea vivacità che mi ha colto senza preavviso ma di cui conosco l’origine: quest’ultima si trova laddove le parole sgorgano nel pieno del loro senso e chiudono i cicli prima di sfociare nel passato.
Riesco a vedere con chiarezza i miei moti interiori tanto nei momenti bui come in questi scampoli di luce, tuttavia non posso orientarne la direzione a mio piacimento e non so se questo limite sia un bene o un male. Senza rendermene conto sono capitato su un piano dell’esistenza in cui gli esiti non contano nulla perché tutto verte sul modo in cui questi si delineano: chissà quanto ci resterò. Tutte le cose e le circostanze a portata d’uomo mi sembrano volubili, però mi chiedo se siano davvero tali o se vengano rese in questo maniera dalle percezioni che le mediano nel linguaggio del pensiero: com’è ovvio quest’ultima ipotesi a me pare la più plausibile.
Prima tetra e opprimente, ora dotata di senso e quasi confortante: questo è lo stato attuale della desolazione in cui versa una parte di me, come se fosse passata dalla notte al giorno o viceversa. Non ho vincoli da sciogliere né ponti da tagliare e forse per adesso è meglio così.