In questi giorni non mi riconosco. Sono stanco, indolente e non riesco a concentrarmi su nulla. Avverto persino un velo di malinconia nelle mie riflessioni, però non so chi ve l’abbia adagiato e mi chiedo se non sia caduto inavvertitamente alle Moire mentre esse tessevano il mio destino. Se mi lasciassi soggiogare da queste perturbazioni passeggere finirei per scrivere come se fossi l’unica persona al mondo ad avere dei problemi. In realtà non ho niente che una buona dormita non possa risolvere. Mica sono fatto di merda: anch’io sono un essere umano e non posso farci nulla, tutt’al più posso esserci, nel senso di Heidegger. La citazione è servita: per ora in quanto aggettivo, ma in futuro non so se servirà anche in qualità di verbo intransitivo con l’ausiliare al seguito. Prove tecniche di sagacia, un po’ come l’inversione dei dolori del giovane Werther.
D’autunno non starò come le foglie sugli alberi, perciò parafraso i versi di Ungaretti per darmi un tono. Gli stereotipi estivi sono resi anacronistici dai mutamenti del clima: ogni tanto qualcuno si ricorda che tutto cambia o forse ne è sempre conscio e all’uopo finge di stupirsene per chissà quali ragioni. Divago come se dovessi vivere davvero. Arretro d’un passo, ma tanto sono tenuto a farne molti in avanti: mi riferisco al podismo. Tra un paio di mesi correrò all’estero per la prima volta: ho scelto d’esordire oltralpe con un’altra corsa di cento chilometri, la stessa distanza con la quale ho iniziato a gareggiare. Non mi pongo obiettivi particolari e intendo allenarmi in modo spontaneo, senza badare a tabelle o ad altro. Non sono bravo ad applicare programmi specifici e non voglio rischiare un’involuzione o, ancor peggio, una deformazione dei motivi primevi che mi hanno indotto a correre. Sono partito dalla soglia di un forte disagio esistenziale e alla fine ho avuto anche delle soddisfazioni cronometriche: ciò non devo dimenticarlo mai, specialmente quando sulle ali dell’entusiasmo il mio Io lascia che gli s’introducano delle ambizioni clandestine.
Per me la corsa è solo una via per meditare che mi consente d’estraniarmi dall’impazzimento in cui versa il genere umano; è un modo per tollerare quella crudeltà che di fatto non so neanche se sia giusta o meno, ma a cui di certo una parte della mia specie non è più abituata da quando la cosiddetta civiltà ha aumentato le sue pretese: su ciò i saggi del dottor Freud sono esaustivi. Se fossi una persona migliore me ne starei sotto un albero a occhi chiusi, in perfetta ascesi, ma sono uno della massa e non è certo qualche sporadica bizzarria che può rendermi differente dal resto. Non so quanto mi resti da vivere, ma voglio cercare di trascorrere quest’arco di tempo nel migliore dei modi. Buona fortuna a tutti.
Parole chiave: d'autunno, esserci, Heidegger, Ungaretti, Werther