In questa domenica di blande crocefissioni io voglio offrirmi al sole e alla prossimità delle acque marine. Mi accorgo di vivere bene allorché la mia percezione del tempo rallenta sensibilmente e questa circostanza è del tutto opposta a svariate testimonianze che ho raccolto in proposito. Quando ero bambino in effetti mi pareva che il divertimento accelerasse le ore e talvolta invece che terrestri i giorni mi parevano brevi come quelli di Giove, nondimeno il senso di oppressione di quell’epoca mi offre ancor oggi un’altra analogia col gigante gassoso: la sua forza di gravità. Fino all’adolescenza ho sofferto lunghi periodi di noia, tuttavia dalle prime introspezioni in poi è scemata sempre di più e infine si è estinta. Suppongo allora che la percezione del tempo in certi stati emotivi non dipenda in primo luogo da questi, ma dallo sfondo esistenziale su cui pulsano. Quante gradazioni può avere lo stesso sprazzo di felicità? E ognuna di queste dipende soltanto dallo stato generale dell’individuo, e dunque dal suo vissuto, o intervengono altre variabili?
Per fortuna non devo compiere ricerche che accrescano lo scibile umano o che soddisfino le mie ambizioni, e d’altronde non ne sarei neanche in grado, di conseguenza sono io l’unico oggetto delle mie speculazioni. Il rallentamento della mia percezione del tempo in presenza di emozioni piacevoli immagino che sia dovuto ad uno stato generale piuttosto favorevole, una condizione quest’ultima che non s’è mai radicata nel passato di cui sopra: tanto semplice quanto plausibile. In queste considerazioni ravviso un po’ di banalità malcelata, ma è l’utilità schematica che mi dà modo di tollerarne i passaggi più scontati. Al di là d’un linguaggio così freddo, quasi disincantato e autoptico, l’importante non è ciò che scrivo, bensì quello che provo e di cui puntualmente non sono in grado di rendere l’idea. D’altronde, se fossi bravo a spiegarmi, a quest’ora batterei sulla tastiera con più cautela per il timore di svegliare qualcuno: c’est la vie.
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