Ho incrementato le mie sessioni di corsa e negli ultimi sei giorni ho coperto centodue chilometri. Il mio corpo risponde bene alle sollecitazioni e mi sento in ottima forma, ma a questo stato fisico si contrappone una malinconia di fondo alla quale io comunque lascio fare il suo corso.
Ogni primavera rinnova in me l’intensità dell’assenza d’amore, ma in cambio mi dà giornate più lunghe e piacevoli. Anche qualche vago frammento dell’attività onirica mi ricorda con una certa assiduità la voragine emotiva che si trova al mio interno, tuttavia non mi lascio inghiottire da me stesso e non nascondo l’evidenza. Considero l’amor proprio una precondizione irrinunciabile per ogni rapporto, però mi domando se non mi sia concentrato troppo su me stesso in questi anni. Qualche volta ho la sensazione che una parte di me sia diventata così passiva da non prendere neanche più in considerazione l’ipotesi che il sottoscritto possa instaurare un legame, ma io non sono un fatalista e di conseguenza metto in riga questa stortura cognitiva. Di tanto in tanto la stanchezza cerca di adulterarmi i pensieri, ma ormai conosco i suoi sotterfugi e quando mi sento spossato non prendo decisione alcuna né mi cimento in lambiccamenti fuorvianti. Attraverso un momento senza infamia e senza gloria, però continuo ad aspettarmi sia di meglio che di peggio. C’è qualcosa che mi riscalda le interiora, niente di metafisico comunque, e manco il colon irritato.
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