Sono sette anni che corro. Ho lasciato dietro di me migliaia di chilometri e ho la ferma intenzione di macinarne ancora molti, infatti ogni volta che completo i diciotto e mezzo del mio percorso mi sento più vicino a me stesso, del tutto intimo con la mia parte migliore e profondamente amato da quella spinta per la vita che mio malgrado ho sempre esperito come solipsistica.
Incominciai a correre per pura disperazione, spontaneamente; un processo simile a quello della crisalide. Le prime uscite furono brevi, incerte e notturne, però passo dopo passo divennero sempre più lunghe, risolute e mattutine o pomeridiane: esperienze sia esaltanti che salvifiche. Non rimembro affatto quando sono riuscito per la prima volta a coprire la distanza sulla quale m’alleno tutt’oggi, ma forse ho appiattito il ricordo a forza di calpestarlo sulla strada in cui si è originato e oramai l’ho reso parte integrante di un presente che si rinnova ad ogni mia falcata. La corsa ha una valenza archetipica, la quale s’adatta a molteplici interpretazioni: credo che io all’inizio l’abbia vissuta come una fuga e successivamente come l’inseguimento di una persona migliore. Non so di preciso cosa sono diventato, ma di sicuro non quello che ho superato di volta in volta. Prima o poi dovrò smettere di correre; potrei diventare un invalido permanente, morire in un incidente o invecchiare senza proroghe, ma spero di essere pronto per ognuna di queste eventualità. Anch’io ho attraversato stagioni, emozioni e condizioni atmosferiche assai diverse e qualcosa mi ha sfiorato appena, tuttavia fino a questo momento la mia strada è stata abbastanza sgombra e ho mantenuto costantemente la distanza di sicurezza da quanto avrebbe potuto rallentarmi.
Non corro per scappare da qualcosa, ma forse non ho mai imboccato la direzione che avrebbe potuto condurmi verso traguardi migliori: tutto sommato va bene lo stesso e sono a posto così. Il narcisismo per me è stata una scelta obbligata e la corsa ne è una conseguenza benefica, ma non penso che una diminuzione del primo nuocerebbe alla seconda. Resto autoreferenziale in quanto non ho ancora incontrato una forza in grado di strapparmi da me stesso, dall’autarchia affettiva che considero un’arma a doppio taglio e di cui però non ho ancora ragione di disfarmi.
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