Gli esiti inaspettati delle elezioni hanno provocato una frattura profonda in Italia. Il vuoto di potere è uno spettacolo magnifico ed emana un’atmosfera da fin de siècle. Non coltivo illusioni e mi limito a vedere ciò che ho contribuito a provocare con il mio voto. Né nel mio armamentario né tra la mia mobilia figura la speranza, ma il clima elettrico di queste ore mi fa illuminare d’immenso. Adesso sono ancora di meno coloro che possono considerarsi al sicuro in quanto s’è allargato un destino comune. Le circostanze attuali possono costituire l’inizio di una rinascita o l’allungamento di una notte drammatica a cui comunque seguirà un’alba: per me è tutta una questione di tempistiche poiché dubito nella costanza del male quanto in quella del bene.
L’incertezza stringe il futuro e soffoca il presente. Io sono sereno perché mi sento pronto ad affrontare qualsiasi evenienza, anche quelle più terribili per un individuo che sono del tutto estranee agli scenari summenzionati. Non devo consolare nessuno e a nessuno devo dare conto, ma ho anche l’abitudine di essere sincero con me stesso e non posso negare che forse mi piacerebbe avere delle responsabilità verso terzi. La fatiscenza, il crollo e la macerie, la rifioritura, il ritorno della primavera e la calma dopo la tempesta: questi cicli non bastano a fare una collana degna del collo di Gaia. Dalle parole che mi ostino a vergare a tal guisa non traspare l’entusiasmo monumentale della mia vita interiore, ma rinuncio a risultare potabile e mi accontento di esserlo per me stesso.
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