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Preferenze e dissolvenze

È entrato nel vivo quell’esercizio di vanità che è il voto, vizio del tutto nuovo per me, infatti mi sono sempre astenuto (tranne un voto di protesta dato per delle trascurabili elezioni comunali). Non accetto lezioni da chi in passato ha scelto degli idioti come suoi rappresentanti, spesso per partito preso e senza essere in grado di fornire una spiegazione. Queste comunque sono cose che in parte ho già scritto altrove seppur in maniera lievemente diversa, ma ho deciso di usarle per macchiare queste pagine con la fanghiglia della politica.
Se avessi milioni di euro e una doppia nazionalità me ne fregherei di tutto ciò. Non ho scelto io di nascere né tanto meno di ritrovarmi nel gran pollaio della democrazia.
Non voto PDL perché ha mancato la rivoluzione liberale, straripa di impresentabili e ha su di sé buona parte delle colpe per l’aumento delle imposte e per l’avvento del governo tecnico: chi lo vota per me non fa altro che conclamare la propria coglionaggine invece di fare il proprio interesse.
Non voto PD in quanto le sue politiche economiche sono incentrate più sulla tassazione e sulle patrimoniali (temo fino al ceto medio) che sull’attacco agli sprechi e ai tagli della spesa pubblica, inoltre ha una forte componente cattolica e un tasso di scandali quasi pari a quello del PDL.
Non voto nemmeno SEL per motivi analoghi a quelli del PD anche se ne apprezzo le posizioni sull’ambiente.
Non voto per la Scelta Civica di Monti poiché il governo tecnico non ha fatto ciò che avrebbe potuto fare ed è stato forte con i deboli e debole con i forti.
Non voto UDC in quanto emanazione del Vaticano e quindi pura flatulenza.
Non voto né Fratelli d’Italia né La Destra né Forza Nuova né Casapound perché in queste formazioni si possono identificare soltanto dei fascistelli repressi: che l’autocombustione le raduni sotto una fiamma tricolore.
Non voto Lega Nord perché ha mancato il federalismo e si è messa al pari con gli scandali, inoltre la sua retorica xenofoba è fuori dal tempo: il mio nemico non è il clandestino con molta melanina, ma il legislatore bianco caucasico che partorisce leggi di merda.
Non voto Rivoluzione Civile perché anche il comunismo è fuori dal tempo, inoltre la presenza di Di Pietro mi fa temere che egli porti con sé (in)degni eredi di Razzi e Scilipoti, ma ne apprezzo i propositi per la lotta alla criminalità organizzata e l’intento di monetizzare le confische.
Non voto Amnistia Giustizia e Libertà perché la prima parola di questa triade nega le altre due. Il mio primo voto andrà al Movimento Cinque Stelle senza illudermi che sia la panacea di tutti i mali; se non si fosse presentato io sarei stato costretto a restare nell’astensionismo. Non faccio propaganda e i motivi della mia preferenza si trovano tutti nel programma del movimento, nella rinuncia ai rimborsi elettorali e nella decurtazione volontaria degli emolumenti.
Venerdì sono stato a Roma in piazza San Giovanni, non troppo lontano dal palco, e ho avuto riprove che comunque non mi servivano. Una parte dell’elettorato del Movimento Cinque Stelle è composta da bifolchi che hanno come unico scopo ridere e berciare sulle battute ripetitive di Grillo, dubito persino che costoro sappiano tracciare una ics: è inevitabile che anche antropoidi del genere godano del diritto di votare. C’è comunque gente di tutt’altra risma che sa informarsi e preservare il proprio senso critico.
Non sono granché democratico e se potessi scegliere davvero allora eleggerei la buon’anima di Alessandro Magno o magari il moderato Gengis Khan. Per me si aprono due strade e comunque vada perderò e vincerò. Nel caso in cui il Movimento Cinque Stelle dovesse mancare ai propri intenti di opposizione e di proposta otterrei la riprova di quanto la democrazia sia fallimentare, ma ne perderei in utilità e allo stesso tempo non verrei confutato: questa sarebbe una vittoria di Pirro. Se invece il corso degli eventi dovesse snodarsi in un quadro del tutto diverso allora ne guadagnerei nell’amministrazione dello Stato e sarei costretto a retrocedere dalle mie posizioni antidemocratiche. Se l’esito dipendesse da me preferirei calpestare le mie convinzioni e vedere il miglioramento della società in cui erogo i miei respiri.
Per l’occasione ho rivisto alcune interviste di Carmelo Bene e mi sono trovato (o forse sarebbe opportuno scrivere “smarrito”) perfettamente a mio agio nel suo citazionismo. Tra il dire e il fare forse c’è meno distanza che tra il fare e il disfare, nel senso più ampio e vuoto dell’espressione. Parole profetiche: “La libertà è affrancamento dal lavoro e non occupazione sul lavoro”. La catena di montaggio, la Macchina che Bene chiama in causa sulla scorta di Deleuze, non è definibile, però ognuno la conosce a suo modo.
Chissà se è vero che “la democrazia è quel sistema in cui il popolo, prende a calci il popolo, su mandato del popolo”. Chi vivrà vedrà e già questa è una condanna.

Francesco

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