Gli esiti inaspettati delle elezioni hanno provocato una frattura profonda in Italia. Il vuoto di potere è uno spettacolo magnifico ed emana un’atmosfera da fin de siècle. Non coltivo illusioni e mi limito a vedere ciò che ho contribuito a provocare con il mio voto. Né nel mio armamentario né tra la mia mobilia figura la speranza, ma il clima elettrico di queste ore mi fa illuminare d’immenso. Adesso sono ancora di meno coloro che possono considerarsi al sicuro in quanto s’è allargato un destino comune. Le circostanze attuali possono costituire l’inizio di una rinascita o l’allungamento di una notte drammatica a cui comunque seguirà un’alba: per me è tutta una questione di tempistiche poiché dubito nella costanza del male quanto in quella del bene.
L’incertezza stringe il futuro e soffoca il presente. Io sono sereno perché mi sento pronto ad affrontare qualsiasi evenienza, anche quelle più terribili per un individuo che sono del tutto estranee agli scenari summenzionati. Non devo consolare nessuno e a nessuno devo dare conto, ma ho anche l’abitudine di essere sincero con me stesso e non posso negare che forse mi piacerebbe avere delle responsabilità verso terzi. La fatiscenza, il crollo e la macerie, la rifioritura, il ritorno della primavera e la calma dopo la tempesta: questi cicli non bastano a fare una collana degna del collo di Gaia. Dalle parole che mi ostino a vergare a tal guisa non traspare l’entusiasmo monumentale della mia vita interiore, ma rinuncio a risultare potabile e mi accontento di esserlo per me stesso.
È entrato nel vivo quell’esercizio di vanità che è il voto, vizio del tutto nuovo per me, infatti mi sono sempre astenuto (tranne un voto di protesta dato per delle trascurabili elezioni comunali). Non accetto lezioni da chi in passato ha scelto degli idioti come suoi rappresentanti, spesso per partito preso e senza essere in grado di fornire una spiegazione. Queste comunque sono cose che in parte ho già scritto altrove seppur in maniera lievemente diversa, ma ho deciso di usarle per macchiare queste pagine con la fanghiglia della politica.
Se avessi milioni di euro e una doppia nazionalità me ne fregherei di tutto ciò. Non ho scelto io di nascere né tanto meno di ritrovarmi nel gran pollaio della democrazia.
Non voto PDL perché ha mancato la rivoluzione liberale, straripa di impresentabili e ha su di sé buona parte delle colpe per l’aumento delle imposte e per l’avvento del governo tecnico: chi lo vota per me non fa altro che conclamare la propria coglionaggine invece di fare il proprio interesse.
Non voto PD in quanto le sue politiche economiche sono incentrate più sulla tassazione e sulle patrimoniali (temo fino al ceto medio) che sull’attacco agli sprechi e ai tagli della spesa pubblica, inoltre ha una forte componente cattolica e un tasso di scandali quasi pari a quello del PDL.
Non voto nemmeno SEL per motivi analoghi a quelli del PD anche se ne apprezzo le posizioni sull’ambiente.
Non voto per la Scelta Civica di Monti poiché il governo tecnico non ha fatto ciò che avrebbe potuto fare ed è stato forte con i deboli e debole con i forti.
Non voto UDC in quanto emanazione del Vaticano e quindi pura flatulenza.
Non voto né Fratelli d’Italia né La Destra né Forza Nuova né Casapound perché in queste formazioni si possono identificare soltanto dei fascistelli repressi: che l’autocombustione le raduni sotto una fiamma tricolore.
Non voto Lega Nord perché ha mancato il federalismo e si è messa al pari con gli scandali, inoltre la sua retorica xenofoba è fuori dal tempo: il mio nemico non è il clandestino con molta melanina, ma il legislatore bianco caucasico che partorisce leggi di merda.
Non voto Rivoluzione Civile perché anche il comunismo è fuori dal tempo, inoltre la presenza di Di Pietro mi fa temere che egli porti con sé (in)degni eredi di Razzi e Scilipoti, ma ne apprezzo i propositi per la lotta alla criminalità organizzata e l’intento di monetizzare le confische.
Non voto Amnistia Giustizia e Libertà perché la prima parola di questa triade nega le altre due. Il mio primo voto andrà al Movimento Cinque Stelle senza illudermi che sia la panacea di tutti i mali; se non si fosse presentato io sarei stato costretto a restare nell’astensionismo. Non faccio propaganda e i motivi della mia preferenza si trovano tutti nel programma del movimento, nella rinuncia ai rimborsi elettorali e nella decurtazione volontaria degli emolumenti.
Venerdì sono stato a Roma in piazza San Giovanni, non troppo lontano dal palco, e ho avuto riprove che comunque non mi servivano. Una parte dell’elettorato del Movimento Cinque Stelle è composta da bifolchi che hanno come unico scopo ridere e berciare sulle battute ripetitive di Grillo, dubito persino che costoro sappiano tracciare una ics: è inevitabile che anche antropoidi del genere godano del diritto di votare. C’è comunque gente di tutt’altra risma che sa informarsi e preservare il proprio senso critico.
Non sono granché democratico e se potessi scegliere davvero allora eleggerei la buon’anima di Alessandro Magno o magari il moderato Gengis Khan. Per me si aprono due strade e comunque vada perderò e vincerò. Nel caso in cui il Movimento Cinque Stelle dovesse mancare ai propri intenti di opposizione e di proposta otterrei la riprova di quanto la democrazia sia fallimentare, ma ne perderei in utilità e allo stesso tempo non verrei confutato: questa sarebbe una vittoria di Pirro. Se invece il corso degli eventi dovesse snodarsi in un quadro del tutto diverso allora ne guadagnerei nell’amministrazione dello Stato e sarei costretto a retrocedere dalle mie posizioni antidemocratiche. Se l’esito dipendesse da me preferirei calpestare le mie convinzioni e vedere il miglioramento della società in cui erogo i miei respiri.
Per l’occasione ho rivisto alcune interviste di Carmelo Bene e mi sono trovato (o forse sarebbe opportuno scrivere “smarrito”) perfettamente a mio agio nel suo citazionismo. Tra il dire e il fare forse c’è meno distanza che tra il fare e il disfare, nel senso più ampio e vuoto dell’espressione. Parole profetiche: “La libertà è affrancamento dal lavoro e non occupazione sul lavoro”. La catena di montaggio, la Macchina che Bene chiama in causa sulla scorta di Deleuze, non è definibile, però ognuno la conosce a suo modo.
Chissà se è vero che “la democrazia è quel sistema in cui il popolo, prende a calci il popolo, su mandato del popolo”. Chi vivrà vedrà e già questa è una condanna.
Mi sono svegliato da poche ore e sono riuscito a imboscare qualche frammento del sogno nel quale l’inconscio mi ha catapultato questa notte.
Mi trovavo a camminare su degli scogli ed ero in procinto di tornare a casa, ma per attraversare un punto ho dovuto indugiare su una roccia più bassa e non appena vi ho messo ambo i piedi il livello del mare si è alzato in maniera imprevedibile, fino al mio petto. Non ho provato freddo né mi sono sentito bagnato. Ho continuato a camminare nel mare invece di proseguire lungo gli scogli e ad un tratto ho raggiunto un paese. Ho seguito una salita che correva parallela ad un muro di mattoni rossi e sono arrivato al centro del luogo. All’improvviso le strade soleggiate si sono pienate d’acqua e anche in questa occasione non ne sono stato bagnato benché mi ci sia trovato immerso fino al petto. Dopo una panoramica del paese allagato, sul quale comunque batteva un sole forte e dove nessuno era affatto agitato per l’evento, ho seguito una ragazza nell’androne di un palazzo in cui quest’ultima era stata invitata ad entrare da una signora di mezza età. Le due donne hanno discorso tra loro senza curarsi della mia presenza e la più anziana ha offerto degli abiti asciutti alla più giovane: io non sono rimasto molto all’interno dell’edificio e quando ne ho varcato l’uscita ho notato le strade completamente riabilitate.
A questo punto sul sogno è calata la sera e io mi sono ritrovato con un gruppo di ragazzi, tra cui dei francesi. Ci siamo diretti verso il luogo dal quale ero arrivato e là, tra gli scogli e i dirupi, abbiamo trovato un pièce teatrale in corso. Ad un tratto un ragazzo è rimasto impigliato in due cavi sottili che facevano parte del sistema d’illuminazione e io ho sentito l’obbligo di avvolgere quei fili con una striscia di plastica per liberare il suddetto senza procurare interruzioni all’opera, ma tutto ciò senza che mi fosse chiaro il perché. Una volta risolto il problema sono sceso tra gli scogli fino ad un punto in cui due pareti di roccia levigata correvano parallele verso il basso, dove il buio avvolgeva tutto e negava di scrutare alcunché; nel corso della discesa ho udito in lontananza e a più riprese il nome di Desdemona.
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Questo sogno per me si presta ad un’interpretazione semplice benché il resoconto che io ne ho dato nelle righe soprastanti possa obiettivamente apparire piuttosto tortuoso e criptico.
La passeggiata sugli scogli la identifico con la vita stessa, frastagliata nel suo divenire come nei pensieri che ne costituiscono l’ossatura. L’impermeabilità all’acqua sono indotto a considerarla come la crescente indifferenza verso i moti della vita, a metà tra atimia e atarassia, e questa lettura è rafforzata in me dal fatto che l’acqua in questione sia quella marina, così soggetta ai flutti e alle maree. L’arrivo al paese attraverso la salita credo che simboleggi il mio ruolo nella società e lo inquadro anche come elemento descrittivo della parte ascendente di una parabola, ovvero la curva che meglio d’ogni altra rappresenta l’esistenza umana nella sua finitezza; difatti poco dopo quella stessa salita diviene una discesa, un ritorno, forse tanto ciclico quanto eterno. Il centro del paese lo immagino come l’allegoria dell’età adulta, ricca di occasioni perché è là che si riversano tutti gli entusiasmi, a mio avviso attribuiti dal senso comune alla giovinezza con una discutibile esclusività.
Per ciò che riguarda il mio ingresso nell’androne del palazzo, dietro la ragazza ma comunque a debita distanza da quest’ultima, io vi intravedo la mia incapacità di trovare una compagna che sappia aprirmi porte in cui io desideri entrare, difatti lascio l’edificio quasi subito. La donna più anziana, colei che discorre con la ragazza suddetta, la considero la proiezione della giovane nel futuro e l’offerta di abiti asciutti come una seconda possibilità che costei vorrebbe avere per le occasioni mancate di cui io, con buona pace della modestia, lì mi ritengo una delle incarnazioni. La sera che compare all’improvviso è nient’altro che una naturale variazione dell’ambiente e della coscienza che ivi volteggia su stessa. All’opera teatrale sugli scogli conferisco il valore rappresentativo delle dinamiche difficoltose, vaghe e sconnesse (nonché scoscese) dei rapporti interpersonali. L’aiuto che dò al ragazzo impigliatosi nei cavi del sistema di illuminazione lo vedo come la tendenza perfettibile verso l’obiettività; costui per me è un antagonista inconsapevole, per certi versi simile al personaggio di Iago nella tragedia di Otello: quest’ultimo dettaglio lo intuisco dal fatto che il sogno termina con l’eco del nome di Desdemona mentre io mi avvio verso il basso, ovvero verso l’idea della morte e non già in essa stessa come invece potrebbe emergere da un’interpretazione meno accurata, tuttavia non escludo che la mia sia ancor più superficiale perché di fatto in questa il pensiero scende e la realtà resta in superficie…
In altre parole è come se fossi un Otello più smaliziato e consapevole, in grado di aiutare Iago perché non lo reputo un nemico, bensì una prova per il raziocinio di Desdemona che è l’unico elemento in grado di vidimare l’amore con me o di decretarne l’incompatibilità. Nella conclusione del sogno trovo espressa tutta la mia repulsione per la seduzione e il possesso. Non vedo l’uomo come conquistatore, bensì come saggio che deve sforzarsi di comprendere davvero se Desdemona lo desideri e se lei abbia un alto livello d’introspezione, altrimenti che si getti pure tra le braccia di Iago e con lui sia felice o s’illuda di esserlo, risparmiandomi comunque l’inganno che quell’altra unione esemplifica: in pratica un atto di clemenza, dono delle circostanze, che dànno modo al sottoscritto di non vivere male la solitudine.
Vi è in tutto ciò rinuncia, attesa, speranza e morte. Reputo questo mio sogno quello più prodigo di simbolismo di cui io sia riuscito a portare reperti nello stato di veglia e anche l’interpretazione è la migliore che abbia mai fornito a me stesso. Sono lieto, molto lieto.
Se fossi stato fidanzato quest’oggi non avrei regalato né dolciumi né rose scarlatte alla mia bella e sono certo che costei avrebbe apprezzato un simile inadempimento. Non ho mai avuto una relazione perché le poche ragazze che hanno mosso un primo passo verso di me poi ne hanno sempre fatti due indietro, forse annoiate e deluse dalla mia mancanza d’iniziativa oltreché dai miei scavi nelle loro interiorità. Immagino che sovente una donzella voglia sentirsi desiderata, anche quando dietro quelle insistenze vi siano scopi diversi dai suoi, perciò capisco coloro che preferiscono tenere i piedi in più scarpe per sentirsi paghe delle altrui attenzioni e non ci trovo nulla di male: la civetteria dovrebbe essere un diritto costituzionale. Probabilmente anch’io mi comporterei in maniera analoga se non avessi esigenze d’altro tipo. In questo ambito la competizione non fa per me. Non gareggio sulle arterie altrui perché dovrei pormi da soggetto a oggetto invece che da soggetto a soggetto.
D’altro canto credo che ognuno tenda ad assecondare le proprie inclinazioni e dunque io procedo in maniera diversa: per me esiste una persona alla volta. Sono ancora giovane e ho tutta la vita davanti, inoltre non temo che a forza di ripeterlo le mie possibilità si esauriscano con il tempo su cui scorrono. Devo scoccare ancora il primo bacio, perciò ho l’entusiasmo dell’adolescente nel corpo e nella psiche di un ventottenne; sono in una posizione di chiaro vantaggio perché non ho delusioni vere né ferite profonde e se anche un domani dovessi avere le une e subire le altre mi sarebbe più facile affrontarle ora che da ragazzino imberbe. Per me la passione e le sue autentiche ramificazioni non hanno i caratteri descritti da molti filoni artistici, infatti inquadro il tutto come una questione privata e non per pudicizia o immotivata segretezza, bensì in quanto esperibile soltanto dai diretti interessati. Di quanta ampollosità mi rendo colpevole per esautorare le parole: in questo caso basterebbe concluderle qui, in questo preciso punto.
Una settimana fa mi sono recato in un supermercato perché da vari secoli nel mondo civilizzato è andata in larga parte perduta l’usanza di cacciare o raccogliere il proprio cibo. Ho preso le solite cose con cui preparo le mie monoporzioni e le ho pagate con della carta filigranata. Sulla rotta di casa mi sono accorto che la cassiera mi aveva consegnato dieci euro di resto invece di uno. Appena mi è stato possibile ho invertito il senso di marcia e sono tornato indietro per sistemare le cose senza illudermi che tutto ciò potesse avere alcuna risonanza sull’universo. Ancor prima di risolvermi a correggere l’altrui errore ho interpretato rapidamente quella volontà. Ho capito subito che l’onestà e la rettitudine non avevano nulla a che fare con quella decisione o quantomeno non ne costituivano il perno. La mia è stata un’azione interessata perché tramite la restituzione di una somma esigua mi sono procurato una vanità morale, una soddisfazione di ripiego, un esercizio piccolissimo ed evanescente della volontà di potenza, insomma, ho avuto un tornaconto assai maggiore di quello che mi sarei potuto procurare con i nove euro che mi erano stati dati. Questo gesto così banale mi ha fatto sentire magnanimo e per un momento ha creato un dislivello tra me e la cassiera, come se avessi avuto pietà di lei e fossi stato dunque in una posizione di temporanea superiorità. In tutto ciò v’è davvero poca traccia d’onestà ed è invece preponderante un narcisismo assai sottile. Per quanto ridotto in scala, io vedo in questo episodio ciò che talvolta aziona i meccanismi di apparente altruismo e probità.
Un tale sistema di gratificazione non è alla portata di tutti perché non tutti sanno riconoscerlo e di conseguenza qualcun altro si sarebbe tenuto i nove euro di scarto per l’inconsapevolezza di ciò che invece avrebbe potuto ottenere restituendoli, e soltanto per questo. Mi viene in mente un ladro che durante un furto rubi un po’ di denaro e lasci invece oggetti di cui non conosce il valore benché sia alto: strumenti di lavoro, collezioni inconsuete, parti da assemblare etc.
Se invece di nove euro mi fossi ritrovato nella stessa situazione con almeno mille euro di scarto avrei agito allo stesso modo? Non sono in grado di dirlo, però spero di ritrovarmi in circostanze simili per ottenere una risposta, in parte già implicita in un tale augurio…
Non riesco a prendere sonno e non mi va di rigirarmi nel letto senza la possibilità di avere delle convulsioni, perciò mi diletto a gettare qualche parola al vento anche se non ho nulla di personale contro Eolo. La decadenza di quest’epoca esercita un certo fascino sul sottoscritto, ma talora non riesco ad apprezzarla a pieno perché il mio attaccamento alla vita è ancora troppo forte. Tifo per lo sfacelo totale. Per salvare le future generazioni è sufficiente non procrearle. Non mi stancherò mai di sottolineare il carattere deplorevole del concepimento; d’altronde la nascita è il primo danno alla salute. A me piace vivere, ma non ho mai inoltrato una richiesta per partecipare a questa grande rimpatriata di anime perse e tanto meno ho mai specificato la mia adesione a quella ridda di entropie che prende il nome di democrazia. Non ho problemi esistenziali, ma cerco soltanto di guardare il nulla negli occhi. La mia mente e il mio corpo sono espressione di uno slancio vitale, a mio modesto avviso assai maggiore di quello presente in certuni che si professano sostenitori nonché unici interpreti di questa esperienza a tempo determinato. Ogni tanto le dicotomie mi stuccano e così le stocco nei compartimenti stagni. Io non incontro alcuna difficoltà a porre sullo stesso binario dei pensieri apparentemente antitetici, infatti per quanto possano essere contrari e ripulsivi, la loro direzione è la medesima: incoerenze auliche.
Non devo farmi capire a tutti i costi, non ho l’obbligo di mettere indicazioni bilingue né di emettere sibili minacciosi come se avessi del veleno da sprecare. Vorrei sapere qualcosa in più sulla morte prima di incorrervi: è possibile qualche anticipazione? Un’anteprima? Niente? Niente, appunto: un indizio che nega se stesso. Vorrei guardare qualunque cosa e qualunque vuoto attraverso gli occhi dei tossici, degli alcolizzati, dei devoti e degli schizofrenici per fare una media delle allucinazioni.
Vivo un periodo estremamente tranquillo, ma qualche inquietudine la vorrei riscattare dal monte dei pegni e serbarla per convertirla all’uopo in ulteriori energie. Anche se mai dominanti e un po’ umiliati, i miei dèmoni ogni tanto si presentavano sulla soglia della coscienza per trascorrere qualche nottata in compagnia, ma ormai non si fanno più vedere. Non ho sensi di colpa perché non ho nulla da espiare: sono innocente come lo ero prima di nascere e come lo sarò una volta che il mio tempo sarà esaurito. Vado dritto a Parco della Vittoria senza passare dalle mie prigioni né da quelle altrui, ma non porto in grembo ideali sonanti né eccessi di adipe.
Odo in lontananza persone che vorrebbero esercitare il libero arbitrio senza nuocere ai loro simili, e stridenti quanto cacofonici percepisco anche i reclami di coloro che invece desiderano negare agli altri quanto non riescono ad ammettere in loro stessi. Aristofane, quanti figuranti avresti trovato se ti fosse capitata la disgrazia di vivere per millenni! Non voglio stare dietro le quinte né in prima fila, ma andarmene a fare in culo come se questo invito assai comune fosse nient’altro che un vagabondaggio interstellare.
Devo trovare un po’ di angoscia, senza esagerare, ma non so come cagionarmela. Un po’ di tensione mi farebbe comodo. A livello personale non ho rimostranze da fare, non trovo nulla fuori posto nella mia vita e le mancanze di cui questa è composta non mi scompongono, perciò le uniche pietre che mi è dato scagliare in maniera autentica sono quelle contro i subappaltatori della democrazia: un giorno spero che quelle stesse pietre possano fare dei cerchi in laghi di sangue, ma non voglio divagare sul perpetuo auspicio che il diritto romano sia sostituito quanto prima dal ripristino della sempiterna equità della legge del taglione.