Cerco di essere al di sopra delle parti, come la testa di un tetraplegico. Mi voglio talmente bene che sarei pronto a morire per me stesso. Vorrei affrancarmi da qualsiasi tipo di identificazione. Ogni tanto provoco faglie insanabili, ma queste non mi allontanano mai da nulla né da nessuno da cui io non sia già separato.
”L’abitudine è in tutte le cose il miglior maestro”, ciò sosteneva Gaio Plinio Secondo. Non me la sento di sposare in toto questa affermazione, tuttavia credo che spesso corrisponda a verità. Sono passati cinque anni da quando ho iniziato a pasticciare un po’ con la lingua giapponese e malgrado la discontinuità dello studio ho aumentato il mio bagaglio di nozioni. Mi sono accorto dei progressi quando non ho avuto alcuna esitazione all’atto di scrivere “hikouki” in kanji: un terzetto di ideogrammi che tempo addietro mi sembrava del tutto proibitivo per le mie capacità mnemoniche benché di fatto non presenti un grande coefficiente di difficoltà. Più che la costanza credo che di quest’ultima sia importante una costante: la velocità d’apprendimento. Per me è un sogno quello d’assimilare tutto alla prima, svogliata e incerta scorsa. Alcune volte vi sono delle anomalie cerebrali, ai confini dell’autismo, che permettono di imparare in modo celere concetti e procedure. Chissà qual è invece l’origine dell’estro e a quali dinamiche risponde.
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