Piscio in aperta campagna sotto la luna piena e seguo con lo sguardo i banchi di tetraggine che promettono nullificazione. Vorrei viaggiare nel tempo per fucilare nelle culle i responsabili delle attuali ambasce. Certi aborti sono dei capolavori di chiaroveggenza. Non c’è nulla di intoccabile su questo pianeta. Vige l’obbligo delle catene a bordo, ma pesa di più quello aureo delle croci a cui si aggrappano i cristiani. Quest’anno sono stato buono, perciò spero che la stella cadente si chiami Apophis. Non vedo molti sforzi per guardare cose, eventi e vuoti nella loro piena nudità. Io mi pongo domande che sfiorano gli organi interni e qualche volta le risposte non producono il foro d’uscita, ma vivo più sereno con l’animo crivellato.
Ogni morale è una scatola cinese che non gode d’infinitezza: v’è un limite alle stronzate. Per me si profilano tempi all’insegna di un’accresciuta lucidità: lo sento dal lieve disagio che mi procuro con lo scuotimento di blande convinzioni alle quali non riconosco più valenza alcuna. Ogni petalo può essere colto o contemplato. La commistione di bene e male sfugge alla dualità di comodo. La banalità più granitica e lapidaria è quella che indica la morte come unica certezza. Strappo le consolazioni perché sono debilitanti e noiose. Inseguo la leggerezza correndo a vuoto.
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