Ieri mi sono recato a Roma per prendere il polso della rabbia sociale. Una volta nella capitale ho cercato un corteo in cui intrufolarmi e per trovarne uno ho seguito il rumore di un elicottero della polizia. Sono restato per cinque ore tra la testa della manifestazione e la sbirraglia, ma non ho assistito a momenti di tensione e soltanto davanti al ministero di grazia e giustizia (il minuscolo è voluto) c’è stato lo scoppio di qualche petardo e l’accensione di pochi fumogeni. Ho sentito un po’ di retorica anacronistica e qualche coro simpatico contro morti di varia estrazione, tuttavia mi aspettavo una guerriglia urbana che mettesse a ferro e fuoco le sedi delle istituzioni. Eventi di questo tipo sono più che altro occasioni di socialità su cui qualche cingalese tenta di lucrare pochi euro con la vendita di fischietti, ma non spostano di un nanometro le decisioni dei tiranni. Per me l’unico momento divertente è stato di fronte alla fiamme gialle in assetto antisommossa, infatti sembravano in posa per una foto di classe: se fossi stato un provocatore avrei chiesto loro di sorridere, ma io non facevo parte della protesta e ne seguivo semplicemente il flusso.
Immagino che se la folla avesse voluto farsi sentire davvero avrebbe dovuto caricare le Forze dell’Ordine per appropriarsi delle loro armi (i numeri per farlo c’erano) e correre verso i palazzi del potere per sparare ad altezza d’uomo. Ogni tanto partiva il seguente coro: “Tutti insieme famo paura”; sì, ma ai negozianti che abbassavano le saracinesche e a qualche turista confuso tra le rovine dell’antico impero romano e quelle della moderna quanto merdosa repubblica.
Non ho proprio voglia di essere accusato d’istigazione alla violenza (in questo senso la politica dovrebbe autodenunciarsi) o di apologia di reato, infatti la mia opinione non conta un cazzo ed è semplicemente il risultato di ragionamenti pragmatici sulla scorta del modo in cui la storia si è snodata finora. I confini italiani non sono stati stabiliti con un unanime spirito risorgimentale, ma sono costati vite e sovranità locali, come d’altronde quasi tutti gli aggiornamenti dei planisferi. Non è colpa mia se sono nato in un’epoca pedissequa rispetto alle precedenti, però non potrei contestare la paternità della disonestà intellettuale se non mi sforzassi di chiamare le cose con il loro cazzo di nome. Per quanto mi riguarda l’unica rivoluzione possibile è quella personale, interiore (e su questo tema Jiddu Krishnamurti ha scritto cose pregevoli). Non farei figli neanche se ne avessi la possibilità perché malgrado le apparenze io non sono abbastanza egoista. Cerco di trarre il meglio dal tempo che mi resta da vivere e ho buone ragioni di credere che prima o poi otterrò un distacco pressoché totale dalle nevrosi della mia società.
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