È l’idea della morte che mi conferisce una vitalità estrema. Seggo su un trono di ossa dal quale osservo la decadenza della mia epoca, ma non sono così ingenuo da credere che a quest’ultima non ne seguirà una di segno opposto. Non limito la mia visione del futuro fino al punto in cui mi è possibile immaginare di raggiungerlo biologicamente. Sono momenti evocativi come questi che ammantano d’incanto e crudeltà il vuoto in cui risiedo. L’avanzata del tempo mi semplifica la vita e rafforza il dominio parziale che ho su di me. Posso mostrare il pollice verso con meno indugi e nei rifiuti più grandi esercito quella volontà di potenza che mi esalta oltremisura.
Non agogno un controllo assoluto e sarei molto stolto se pensassi di poterlo conseguire, però mi piace lottare con certi desideri nella prospettiva di scomodare qualcosa che possa fare a meno della loro mediazione. Le mie carenze sono anche una risorsa. Sfuggo al fuoco incrociato dell’edonismo e della morale religiosa per deriderne le mire che vorrebbero fare mie. L’angoscia altrui non è di mia competenza e mi limito a salutarla dal finestrino quando le passo accanto con la condotta di cui mi avvalgo. Sono manchevole sotto molti aspetti, però tra questi ne figurano anche alcuni che mi sforzo di lasciare alla desertificazione senza compromettermi le primavere.