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Ben oltre il tempo delle mele

Qualche volta mi piace rendicontare i miei limiti perché mi permettono di restare con i piedi per terra mentre la mente vola più in alto di quanto potrebbe fare tra le correnti ascensionali di una boria ingiustificata. Non devo fare di me un polo di attrazione e sono già un parafulmini perché non credo ai colpi della folgore. Il giusto mezzo è quanto di più aristotelico io possa inseguire e per trovare la quadratura del cerchio ogni tanto devo tracciare dei triangoli isosceli, però non è raro che le mie parole mettano in evidenza il lato diverso invece degli altri due.
Mi sento bene e incompleto, un accostamento che non mi è nuovo e di cui ho esperito livelli più alti, tuttavia non ho nulla di cui lamentarmi a livello personale. S’è un po’ attenuata la linea della mia serenità, ma si mantiene su quote apprezzabili. Dovrei fare un salto di qualità, che io vedo come un salto nel vuoto, ma non posso farlo da solo. Suppongo che sia il caso di passare da un pavido condizionale ad un presente indicativo più severo. Ho sempre cercato di essere onesto con me stesso perché ho imparato ad apprezzare le comodità d’un atteggiamento simile, perciò devo riconoscere la mancanza d’amore come causa precipua della mia stagnazione umorale.
Uso un registro linguistico inappropriato, dovrei sguazzare nel sangue e nella merda per essere più diretto, tra l’altro sono in grado di farlo benissimo, anzi io ci nuoto in stile libero, ma forse mi trattengo in questa occasione: misero me! Non posso più intendere l’amore come un evento la cui comparsa può essere possibile, ma devo cominciare a facilitarne l’ingresso nella mia cazzo di vita: come, non m’è dato saperlo. Ho un atteggiamento attendista, ma non gioco in contropiede e riparto sempre dallo stesso punto per ritornarci. Forse in questi anni il mio umore ha campato della rendita delle sublimazioni a cui mi sono prestato, ma è bene che io guardi al futuro da una prospettiva diversa. Intanto mi lambicco.

Francesco

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