Io non pretendo di avere sempre il controllo della situazione perché una tale superbia potrebbe nuocermi gravemente. Qualche giorno fa ho constatato durante una discesa che un freno della mia bicicletta si era allentato, di conseguenza ho dovuto scegliere se insistere sull’arresto del mezzo o aggirare l’auto che mi precedeva: alla fine ho lasciato il freno e sono schizzato di lato. Altre volte mi sono trovato in situazioni analoghe.
Alcuni anni fa in mountain bike dovetti affrontare una discesa sterrata all’inizio della quale presi più velocità del dovuto, ma evitai di frenare perché se lo avessi fatto sarei sicuramente rovinato a terra. Aiutato dal caso, l’ammortizzatore degli audaci, raggiunsi illeso la strada piana e potei rallentare, ma impiegai di più a fare altrettanto con il battito cardiaco.
In casi del genere credo che in me si scontrino l’istinto e la ragione: nel primo la paura è una plenipotenziaria, nella seconda invece un’affidabile consigliera. Forse certi incidenti sono dettati dall’arrogante pretesa di risolvere un imprevisto col primo approccio, nonostante risulti subito non adatto. Talora potrebbe sussistere un’incapacità di pagare la propria avventatezza con la cessione parziale e temporanea di sé a quanto ne trascenda le capacità, allo stesso modo in cui il pericolo sia stato innescato da un salto a piè pari sul buonsenso.
Possibile che per qualcuno sia preferibile battere la testa contro un muro pur di non ammettere di avere torto? La risposta è così telefonata che costa una conferma solida ad ogni scatto d’ira. La traslazione di queste righe sul piano emotivo è spontanea, ma soltanto estensiva dato che non si compie un vero un cambio di campo. In altre parole la possibilità di ragionare a lungo su d’un problema non costituisce necessariamente un vantaggio, ma talvolta può essere soltanto un’occasione d’ozioso lambiccamento in attesa d’una catastrofe evitabile. Per banale che sia, e questo appunto lo è in molte parti, mi vedo ancora intento a incensare la lucidità senza tuttavia nasconderne i limiti: vorrei potermi comprendere così tanto da poter fare a meno di me stesso.
Da parecchio tempo non riesco a ricordare nulla dell’attività onirica, tuttavia qualche giorno fa è affiorato alla mia coscienza un sogno di qualche anno addietro.
La prima scena constò di una casa bianca, circondata da un giardino a gradoni e sottoposta ad un cielo terso. In seguito mi ritrovai all’interno dell’abitazione e avvertii una sensazione di forte disagio. D’un tratto qualcuno bussò alla porta o suonò il campanello: non m’è dato ricordare con precisione questo particolare. Come mosso da un automatismo capace di scavalcare ogni mia riserva, mi recai all’ingresso per rispondere a quel richiamo. Sull’uscio trovai un signore, forse un postino, che pronunciò un nome femminile: quand’egli lo ripeté vidi l’immagine di una signora di mezz’età. La sequenza successiva mi portò al piano superiore dell’abitazione di cui rammento soltanto un abbaino che permetteva alla vista di perdersi in uno scenario agreste: nulla di più.
Vento di belligeranza sulla ventottesima primavera
Pubblicato martedì 5 Giugno 2012 alle 14:26 da FrancescoMancano ventiquattrore ai miei ventotto anni. Non ho candeline da spegnere né candelotti da accendere. Attraverso un momento positivo e sono soddisfatto di me stesso. Mi sento più forte di quanto sia mai stato in passato. Conservo nozioni, tendo ad apprenderne di nuove e mi vedo più determinato a stringere un coltello tra i denti. D’anno in anno sguscio sempre di più la paura della morte e la mia esistenza ne trae grande beneficio.
Sono nato esattamente quarant’anni dopo lo sbarco in Normandia e questo particolare non può che contribuire ad enfatizzare gli aspetti più titanici della mia forma mentis. Cerco di trarre forza dagli uomini intrepidi che mi hanno preceduto, personaggi di cui la storia è prodiga nonostante ricorrano di rado nell’interesse generale. Non c’è moneta con cui si possa comprare un’autentica preparazione all’eventualità d’una morte precoce e violenta, tuttavia proprio in una mentalità plasmata a tal guisa io intravedo la chiave di una vita piena e, con tutti i miei limiti, la inseguo mentre punto verso la longevità. Non voglio udire auguri di compleanno, ma preferisco ricordare il ruggito del leone del Panjshir.
Ho già ricevuto un regalo, difatti ieri mi sono state rivolte delle graziose minacce da un parente che alcuni anni fa tentò di aggredirmi con un pretesto per poi ricavarne soltanto un pugno sul suo nasino e di conseguenza un referto medico col quale poté sporgere denuncia verso me: in quell’occasione ebbi la colpa di difendermi senza riportare manco un’escoriazione. Non cado nelle provocazioni, ma rispondo sempre con la stessa moneta. Sono sempre pronto allo scontro anche se ne riconosco la stupidità e non ho l’indole del Mahatma Gandhi né tanto meno la cristiana inclinazione a porgere l’altra guancia. Non cerco la vanagloria della sopraffazione né la sterile gratificazione di una prova di forza ai danni di qualcun altro, ma tento di custodire in me una fierezza che, tra i vari esempi offerti e dissimulati dalla civiltà umana, io quest’oggi riprendo dalla figura del mujaheddin. Eh, comprare una torta e fare una festa in una pizzeria sarebbe stato troppo semplice.
Ancora una volta da Orbetello a Montepulciano
Pubblicato venerdì 1 Giugno 2012 alle 01:32 da FrancescoLunedì, venti all’una, ho messo uno zaino sulle spalle, sono montato in bicicletta e ho pedalato per quasi nove ore fino a Montepulciano, in provincia di Siena. Ho compiuto brevi soste per mangiare, bere e pisciare. Già altre due volte avevo guadagnato la meta poliziana con itinerari diversi e anche in quest’ultima occasione ho affrontato un percorso differente dai precedenti.
Da Orbetello ho raggiunto Pitigliano e là ho fatto la prima delle quattro soste. Ho proseguito per Sorano e poi verso San Quirico. Superato Casone, alla mia destra ho notato un cartello stradale che segnalava la fine della Toscana e ho compreso che a Sorano avrei dovuto seguire la strada per Castell’Azzara invece di allungare verso Acquapendente, ma oltre alla bestemmie di rito mi sono concesso un autoscatto per immortalare cotanta coglioneria. Per raggiungere la Cassia ho attraversato l’Onanese, ovvero la strada provinciale che porta a Onano e mi sono chiesto se sia stato soltanto un caso: ogni riferimento biblico è tutt’altro che casuale.
Una volta raggiunta Acquapendente ho seguito la Cassia e ho cominciato ad accusare parecchia fatica nonostante avessi ancora da coprire sessanta dei centocinquanta chilometri. Il continuo saliscendi ha messo alla prova i miei nervi, tuttavia sapevo cosa mi aspettava poiché avevo già affrontato la strada per Chianciano. Sono arrivato a destinazione poco dopo le nove di sera e ho fatto un pasto abbondante per il quale ringrazio chi mi ha ospitato per i tre giorni seguenti. L’indomani ho camminato per alcuni chilometri e il giorno successivo ho ripreso la bicicletta per raggiungere Cortona: una cinquantina di chilometri tra andata e ritorno. Infine sono rincasato a bordo di un mezzo meccanico a quattro ruote.
Sono tornato sui pedali da circa tre mesi e ho abbandonato la mountain bike per una bicicletta da ciclocross, più leggera e più adatta alle mie esigenze. Sono rimasto abbastanza soddisfatto della mia prestazione benché non sia stata nulla di trascendentale. Io rapporto gli sforzi alle capacità personali e mi diverto a cimentarmi nelle sfide a singolar tenzone che di tanto in tanto oso lanciare a me stesso. Mi ricamo su misura dei momenti di esaltazione che un dì potrebbero procurarmi dei punti di sutura o un infarto perfetto, ma cerco di passare la notte con quello che ho e dell’alba forse non m’interessa granché. Lo sforzo solitario e il contatto con la natura sono gli strumenti migliori che conosca per dilatare la vena più clemente dell’esistenza ed è un vero peccato che non possa ricorrervi sotto la promessa di una dissoluzione sublime.