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Migrazioni pindariche

Ogni tanto i pensieri fanno orario continuato: stacanovisti improvvisati. A che punto siamo della storia? Quella umana, ovviamente. Già adesso mi domando se le prime risposte di un cervello artificiale saranno timide come lo sono stati i primi tentativi di costruirne uno. Dove s’annida la coscienza? Le risposte organicistiche sono acerbe e quelle metafisiche altrettanto inaffidabili, al punto di sforare il senso del ridicolo.
Per me le domande esistenziali non compongono un ritornello da intonare all’uopo, bensì una melodia su cui talvolta stono per non impazzire. Amata lucidità, più che stretta a me, conficcata! Ogni giorno qualcuno parte in avanscoperta col grado di suicida. Sarebbe bello e talora ingiusto se i sonni quieti potessero devolvere parte di loro stessi per formare la lama che taglia la corda, l’inceppamento che blocca la meccanica dell’arma, il balzo impossibile dell’ultimo treno o il rewind dell’ennesimo salto nel vuoto. Credo che ognuno abbia il diritto di uccidersi, tuttavia considero il tuffo nell’ignoto una disciplina olimpica e per un’esecuzione magistrale ritengo imprescindibile la consapevolezza del gesto: un atto impulsivo non mi farà sollevare la paletta col dieci cerchiato. Salto dalle incognite della vita al pensiero della morte, ma rincaso sempre lungo una scorciatoia d’amor proprio, all’incrocio con i giorni migliori di cui sprono sovente l’avvicendamento.
Dai grandi rincoglioniti di questo pianeta ho imparato a non ragionare con l’ausilio del cazzo né con l’anima, la cui dotazione per altro è ancora oggetto di discussione nelle memorie di qualche ergastolano e di incensurati assai peggiori. Bestemmiare è poco; io voglio tuonare di ritorno.

Francesco

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