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Velleità e ricordi di un emerodromo senza talento

Le giornate estive m’inducono a correre più di quanto dovrei, ma non riesco a trattenermi e non mi preoccupo di bruciare un po’ di massa muscolare. Il mio percorso attuale si snoda per diciotto chilometri e mezzo: nell’ultima settimana, in due occasioni, sono riuscito a mantenere su questa distanza una media di quattro minuti e sedici secondi al chilometro. In più occasioni ho sognato di correre sotto la soglia psicologica dei quattro minuti sul percorso succitato o su quello della mezza maratona, ma ci sono riuscito soltanto sui diecimila metri.
Qualche giorno fa ho corso e parlato per un po’ di chilometri con un podista della zona che ha trent’anni più di me, un atleta che rispetto moltissimo, e mi ha invitato di nuovo ad allenarmi per gareggiare sebbene nel migliore dei casi io possa puntare a qualche buon piazzamento anche a fronte di miglioramenti sensibili. Queste parole riappaiono ciclicamente e ogni volta ripeto che mi manca il fuoco sacro dell’agonista.
Ho iniziato a correre spontaneamente, come atto di disperazione. Sei o sette anni fa, talvolta di notte, uscivo di casa e cercavo di coprire nel minor tempo possibile un percorso di appena tre chilometri. A ripensarci mi faccio tenerezza e sono costretto a carezzarmi il volto un po’ scavato. Non ho mai combinato granché nella vita, sono sempre stato una persona mediocre, però non incolpo le istituzioni né quel che resta della mia famiglia, infatti immagino che avrei compiuto le stesse scelte anche se fossi stato allevato sotto una campana di vetro.
Ho corso tra gioie e delusioni, sotto il sole, la pioggia e rare volte financo a testa bassa sotto delle grandinate improvvise; quest’anno pure sulla neve. Ho anche pisciato sangue misto ad urina, con lo spavento, invero un po’ ingenuo, di dovermi mettere nelle mani di un nefrologo. Malgrado tutto, io penso che le cose mi siano andate bene finora. Sono più fortunato di quanto delle impressioni estranee possano riferire. Non ho nulla di cui lamentarmi perché mi accetto per quello che sono. Più il tempo passa e più mi sento giovane: da vecchio sarò un feto adorabile.

Francesco

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