Mi affaccio sopra un muro di gomma per guardare con aria divertita come la mia psiche respinge tutti i tentativi di sabotaggio. Sfuggo al contagio dello sconforto perché mi sono vaccinato ab illo tempore grazie all’introspezione. Qualche volta mi pare che ogni segnale di vita indichi un vicolo cieco, ma io non me ne preoccupo e seguo una bussola cuoriforme.
Vivo ancora da numero dispari in un mondo che spesso mi si palesa binario e non ho ragione di credere che questo andazzo possa cambiare a breve, però non ho un atteggiamento fatalista e cerco d’impiegare bene tutto quel tempo che a me piacerebbe condividere con un’altra persona. Porto in grembo un’inclinazione vecchissima e inespressa che ogni tanto dimentico di esternare per lunghi periodi, tuttavia una tale negligenza non è sinonimo di arrendevolezza: manco per il cazzo. Vengo considerato un introverso scostante, però sono l’esatto opposto e l’ho dimostrato a me stesso in più occasioni. D’altro canto non posso immolare il mio tempo e il mio umore per qualcosa che soltanto in parte dipende da me, di conseguenza vivo come vivo per migliorarmi e non mi gioco la carta di un’atarassia che non mi appartiene: insomma, io faccio di necessità virtù. La vita è un’esperienza così breve che gli atti dolore possono essere posticipati al post mortem: mi piangerò addosso quando le mie cavità oculari saranno luogo di transito per i vermi.
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