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Maiali ammainati

Finalmente ho smesso di mangiare carne. Non sono diventato un vegetariano poiché alcuni dei pasti che mi preparo con le manine sante includono ancora il tonno, ma ormai la maggior parte delle mie proteine deriva dal seitan e dalla soia. La mia scelta non è stata etica, bensì un po’ salutistica. Ho scoperto un graduale disgusto per la consumazione delle carni bianche e rosse, perciò la rinuncia non ha costituito un sacrifico, ma solamente un appuntamento al quale sono giunto con largo ritardo. Grazie all’attività fisica potrei permettermi di mangiare qualsiasi cosa in quantità esagerate senza compromettere il mio peso, tuttavia i piaceri della tavola per me non corrispondono necessariamente alle preferenze alimentari che mi sono state imposte durante la crescita con la forza dell’abitudine.
In una sorta d’introspezione nutrizionale sono tornato indietro di parecchi pranzi e d’altrettante cene, quando gli adulti coglievano ogni occasione per mettersi all’ingrasso: matrimoni, funerali, feste comandate o improvvisate, compleanni e stronzate analoghe. L’opulenza di quei banchetti e la voracità dei partecipanti evoca in me ricordi scabrosi: masse di animali che ne mangiavano altri con mimiche quasi predatorie. All’epoca sentivo già questa insofferenza, ma non ero ancora abbastanza consapevole per elaborarla e io stesso ne ero complice poiché proprio come gli altri m’ingozzavo: un classico ricorso al cibo come scudo contro problemi d’ordine superiore.
Per fortuna un giorno ho capito che le persone più anziane non sono più sagge di me, ma solo più vecchie e così ho smesso di ascoltare le loro cialtronerie: per Diana, una rivoluzione epatica! Alla luce di quanto scritto, l’estromissione della carne dalla mia dieta è la conquista di uno degli ultimi baluardi di tutto ciò che mi sono impegnato a disimparare: ecco perché la mia scelta non è etica e solo un po’ salutistica.
Provo una repulsione totale verso quanti trascorrano la mattina a lambiccarsi su cosa preparare a pranzo e, una volta finito quest’ultimo, ricominciare daccapo per la cena. Detesto i pasti che durano troppo e non vi partecipo, tuttavia se un giorno mi ci trovassi per un insolito caso del destino, allora non mi farei problemi ad andarmene a tempo debito con la maleducazione del caso. Non sopporto l’idea di stare ore assiso davanti alle vettovaglie, col culo inchiodato su una sedia a contemplare quanto oltrepassi l’immaginazione di un somalo. Non sono un palato fine, ma penso di essere in grado di discerne tra una sana degustazione e la bulimia che impera tra i mulini bianchi. La mia apparente asocialità talora è un modo per evitare la guerra delle rosette. Oibò, per me né carne né carnalità.

Francesco

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