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Sic transit gloria mundi

Il pensiero della morte è un corvo amorfo che si ferma sovente sulla mia spalla destra: io trovo magnifico il suo piumaggio. Privata di ogni escatologia, la fine dell’esistenza assume dei contorni accecanti. È facile ascrivere certe immagini alle spirali depressive, ma quelle che io traggo non rientrano nelle banalità funeree né tanto meno nelle cornici pessimistiche.
Non sono ancora pronto a separarmi dal corpo, dalle nozioni che ho accumulato, dalla capacità di percepire il reale attraverso i sensi e soprattutto dalla personalità che mi sono costruito, ma talvolta un occhio stanco, forse il terzo, mi cade nell’oblio e là si fa investire da una sensazione di leggerezza che drena i significati posticci. Non c’è nulla di metafisico in me: io scrivo per conto di un’intuizione scanzonata. Talora risulto una persona molto pesante poiché mi trascino dietro riflessioni cupe e sconfino spesso in uno humour nero, ma questo bagaglio di tetraggine per me è un gioco d’infanzia. Ogni tanto mi capita di pensare che difficilmente avrò modo di migliorarmi in maniera significativa, come se avessi già fatto il mio massimo (non molto, invero); su questa base, se fossi un satanista dovrei prendere in considerazione l’idea di uccidermi per rimanere coerente con la dottrina dell’autodeterminazione, però io delle Bestia faccio soltanto le corna, mica le veci: tiè! C’è sempre tempo per crepare: il classico compito che si può rimandare fino alla conclusione dell’estate, fino al primo giorno di rientro a scuola…
Non c’è puzza di avello in queste righe: almeno io non la sento! Celebro la vita con azioni e con rinunce attraverso cui mi prendo cura del corpo e della mente, ma allo stesso tempo sorrido alla scomparsa e cerco di gettare quella zavorra culturale che troppo spesso la rende un tabù o un pretesto per orchestrare lo sgomento. Ho ancora molto da disimparare del sistema di valori e di tradizioni che mi ha investito sulle strisce del passaggio dall’infanzia all’età adulta.
Provo ad immaginare una ragazza serena, assisa vicino ad una finestra e con il mento poggiato sulla palma di una mano; lo sguardo rivolto alla primavera e la mente all’intimo rapporto con la morte, l’inopinata mietitrice che potrebbe avvicinarla nei suoi anni migliori. Di questo quadretto io mi figuro la leggiadria, la grazia, la tacita ironia. Beh, morire in pace dopo una vita serena mi farebbe respingere ogni prospettiva d’eternità: eviterei di essere prolisso.

Francesco

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