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Perline primaverili

Pubblicato sabato 7 Aprile 2012 alle 13:30 da Francesco

Non cerco sorprese tra le convessità di cacao né in mezzo alle amarezze di cui è prodigo tutto il calendario gregoriano. Vivo al di fuori del pensiero altrui. Non sono l’idea fissa di qualcuno né un usurpatore di sonno. Appartengo a me stesso in misura sempre maggiore, ma faccio attenzione a non innalzare muri d’indifferenza e di spocchia che possano rivelarsi troppo alti da scavalcare. Vige in me un equilibrio ritrovato di cui l’ironia è la prova più evidente sebbene non compaia in queste righe un po’ seriose.
Avverto la sublime vacuità dell’esistenza e cerco di fare buon uso del tempo che mi separa dalla morte. Non caldeggio la fine, ma la rammento sovente poiché anch’essa è parte della natura e mi rifiuto d’inquadrarla in un’ottica angosciosa, tanto diffusa quanto crudele, mendace e inutile. Spero di non ammalarmi d’immortalità, però vorrei diventare un ultracentenario: insomma, non mi dispiacerebbe attardarmi un po’ tra le nevrosi dei miei simili. Accetterei di rinascere secondo le regole della metempsicosi, ma per la resurrezione della carne in chiave cristiana credo che mi darei malato: non mi hanno mai ispirato le cene di classe e le ho sempre disertate con piacere. Non ho mai colto il senso di celebrare una cifra perché probabilmente non ce n’è uno: forse si tratta di una scusa come un’altra per allestire un convivio sul quale intavolare dei secondi fini. Mi sento uno straniero quando scrivo o parlo in italiano. Ormai non mi preoccupo più di dare un senso ai discorsi e talvolta questa noncuranza genera situazioni surreali che almeno a me non provocano imbarazzo alcuno. Io non sono uno sciagurato, perciò addobbo i fraintendimenti con l’estemporaneità di un menefreghismo pacato. Chissà come si traduce in italiano l’espressione che segue: “Me ne sbatto i coglioni”. Ci sono cose a cui tengo, le meno importanti: i miei pilastri invece brillano di luce propria e non c’è bisogno che io mi crucci per la loro amorfa salvaguardia.

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