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A debita distanza dalla meccanicità

Da quando sono nato i miei contatti con il genere femminile sono sempre stati rari e superficiali. Dall’infanzia fino al termine dell’adolescenza la timidezza mi ha tenuto distante da ogni rapporto col gentil sesso, ma allo stesso tempo mi ha protetto da quelle delusioni che avrebbero potuto distorcere per lungo tempo il mio pensiero se fossero avvenute in seno all’inesperienza d’allora. Oggi circolo ancora nella pubertà e lo stato vergineo mi conferisce un’aura bizzarra perché non lo reputo motivo di vergogna come invece, surrettizia, induce a credere la società maschilista e cristiana di cui sono figlio. Non idealizzo la donna poiché se lo facessi commetterei lo stesso errore di chi ci proietta sopra le proprie insicurezze: io le mie le mando in onda altrove.
La mia posizione è di un immobilismo disarmante, ma è fondata su una ricerca dell’amore che mi è stata suggerita dagli errori dei miei simili. C’è troppa meccanicità nei rapporti interpersonali e io voglio rifuggirne. Ho la necessità di un legame autentico che non nasca dal bisogno, ma che lo crei in seguito all’incontro di due menti lucide. Per me l’amore non è un accordo tacito tra due persone che temono la solitudine: trovo in una relazione di questo genere un atto di sfiducia verso sé stessi, il primo passo verso frustrazioni fecondissime.
Certe cose le ripeto da anni, infatti predico nel deserto e probabilmente continuerò ancora per molto i miei soliloqui tra le dune. C’è qualcosa di peggiore dell’isolamento e dell’emarginazione, ovvero la dimenticanza di sé: per me la vita sarebbe più facile se potessi convincermi dell’esatto contrario, ma proprio non ci riesco. Seppur con gravi pesi nello stomaco, posso accettare di non amare nessuno, ma a patto ch’io non mi perda. Mi snaturo nel ruolo del solitario poiché sono tutt’altro sebbene la mia storia personale e il presente facciano credere il contrario. Ho una vita interiore molto ricca nonostante in me non vi sia alcuna forma di spiritualità ed è questa che fortunatamente mi consente di mantenere alte le soglie di sopportazione e di attenzione. Alcune volte mi sembra che le mie parole infastidiscano qualcuno, come se facessero da eco alle voci sopite della sua intimità. Io mi occupo di me stesso, non di terzi, tuttavia a domanda rispondo. Ho un grande privilegio rispetto ad altre persone benché taluni da fuori lo reputino un problema: in realtà è un’occasione. Non voglio essere meccanico, sono insofferente a tutti gli automatismi: quanti già ne compio senza esserne consapevole!

Francesco

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