Manca meno di un mese all’equinozio di primavera, però avverto già i moti della nuova stagione. Ogni pomeriggio accolgo una sensazione piacevolissima all’altezza dell’epigastrio, come se nel mio stomaco al posto delle farfalle volassero delle aquile reali: ogni anno la stessa migrazione! Mi ero ripromesso di trascorrere un inverno a debita distanza da qualsiasi legame affettivo e ci sono riuscito senza compiere grandi sforzi, tuttavia ho subito lacerazioni improvvise a causa di una ricomparsa inaspettata sul piano platonico: un fuoco fatuo che credevo estinto per sempre. Il peggio è passato e, con la dovuta cautela, m’azzardo a sentire mia una rinnovata leggerezza. Penso che neanche quest’anno scoccherò il primo bacio, però conto ancora una volta di riavere tutta la tranquillità che ho già dato prova di sapermi infondere.
Non sono abbastanza stupido da usare i pensieri come tenaglie nelle quali tuffarmi, perciò devo tornare in linea con i punti più alti a cui i miei slanci mi consentano di assurgere. Non voglio che la pochezza mi tarpi le ali, ma per evitarne il giogo ho bisogno di un Io coeso. Una parte di me anela alla fusione con un’altra persona, un’altra è conscia dell’attuale impossibilità di un’unione e un’altra ancora brama il mio risveglio poiché è la più dolce delle tre: poi ce ne sono tantissime che guardano, prive di nome e la cui presenza posso solo intuire poiché sfugge alla coscienza.
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