Non mi diverto a sentirmi un pesce fuor d’acqua in un mare di catrame. La storia è costellata di capitoli oscuri che mettono in discussione la definizione di umanità, ma certe pagine vengono privilegiate nella memoria in base a criteri meramente geografici: di vicinanza. Paradossalmente i negazionisti d’ogni sorta e latitudine hanno più cose in comune di certuni che si professano alfieri della libertà, ma le somiglianze dei primi di solito sono improntate ad un’idiozia senza fine. Ardua la scelta tra un buonismo artificioso e una stupidità autentica. Le opinioni su determinati temi non di rado dipendono più dal vissuto personale che dai fatti in sé. Certi tipi di frustrazione generano odio immotivato e gratuito, altre invece un approccio empatico benché insincero: quanta poca padronanza ha la mente su se stessa e quanta fatica per emanciparla un po’. Il Giorno della Memoria a me ricorda un evento che trascende la storia poiché solamente una macchina (difettosa, oltretutto) potrebbe inquadrarlo in una cornice così limitata, tuttavia lo reputo alla pari di un altro olocausto che invece ha avuto e continua ad avere scarsa eco: lo stupro di Nanchino.
Penso puntualmente al principio di prossimità della psicologia della Gestalt (in un senso più ampio) ogni volta che mi rendo conto di come le parti del mondo tendano a dimenticarsi e a sminuirsi vicendevolmente sul piano del male assoluto.
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