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La percezione del tempo e la corsa

Al di fuori del rigore cronometrico e del pressappochismo degli orologi comuni il tempo non è altro che una percezione. Qualche volta, quando corro, riesco a distogliere così tanto la mente dagli automatismi dell’attività fisica che la durata apparente di un allenamento finisce per ridursi di tre quarti. Di ciò m’ero già reso conto quando correvo spesso per ventuno chilometri e ne ho ricevuto ulteriore conferma nelle corse di mantenimento da dodici chilometri.
Inutile sottolineare quanto giovi tutto questo all’alleggerimento della fatica, è meno scontato invece comprendere il perché ciò accada. Districare i pensieri è un’arte della quale vorrei tanto diventare maestro, però sono ancora un novizio, un aspirante entusiasta dalle belle speranze. Indagando su di me ho scoperto che una percezione del tempo come quella sopraesposta io la riesco a raggiungere in due modi. Spesso mi pare che il tempo si contragga quando ripasso gli ideogrammi mentre mantengo una velocità di almeno quattro minuti e mezzo al chilometro; in pratica disegno mentalmente i kanji e quasi mi disinteresso del corpo poiché ormai i movimenti mi sono entrati dentro come gli automatismi ad un musicista: la strada può essere paragonata alla tastiera di un pianoforte dove so sempre in quale punto mettere i piedi (fossero le mani mi dedicherei all’attività circense), alla giusta distanza, come gli intervalli nella musica, ma tutto ciò è più di una semplice sinestesia.
In altre occasioni invece penso alle delusioni e alle loro figlie, le frustrazioni, tuttavia durante la corsa ci ragiono al punto da portarle al parossismo e alla fine dello sforzo aerobico è come se le avessi disinnescate. Non sono sempre in grado di provocare questa catarsi volontariamente poiché per adesso ho esperito i suoi effetti migliori in manifestazioni spontanee, ma sono certo che esiste un modo per generarle. Alcuni tipi di yoga potrebbero essere una via maestra in tal senso, e ovviamente non mi riferisco agli esercizietti che taluni compiono sommariamente per sentirsi meno occidentali e più profondi. Credo che la corsa sia una meditazione e anche per i processi biochimici che innesca offre un humus in cui è possibile trovare altri sbocchi che non siano la cura della forma fisica, l’annessa vanità (della quale invero anch’io mi macchio dinanzi a specchi sempre più silenziosi) o dell’agonismo podistico.
Per i più esigenti è comunque possibile (beh, in realtà non lo è, almeno per adesso) toccare la velocità della luce: in quel caso il tempo diverrà talmente relativo da fare skip sul repeat della storia, questo disco rotto!

Francesco

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