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Prego Aphosis, si accomodi

Le primavere arabe ormai sembrano vecchi autunni. Altrove un intero popolo veste a lutto per il caro leader, ma quell’isteria collettiva ai miei occhi non differisce in nulla dalla riverenza di cui gode il clero nel prospero Occidente. La mano di qualche razzista viene armata da frustrazioni che non dipendono affatto dalla quantità di melanina di terzi né dai passaporti del terzo mondo. Piccole ingiustizie rimbombano, altre invece sono costrette al voto di silenzio perché non hanno mercato elettorale. Il garantismo si fa coglioneria e così permette a qualche sedicente liberale di farsi le seghe con le convinzioni che ne alimentano l’identità politica. Tutti hanno la ricetta, però presenta sempre un retrogusto di curaro. La storia non propone mai nulla di nuovo, si ripete e viene ripetuta benché gli errori cambino costume ad ogni giro di valzer. Affezionati a questo via vai di cadaveri e neonati, io ci sborro sul mondo che taluni si auspicano. Preferirei che un giorno il Corriere della Sera titolasse pressappoco così: “La fine dell’umanità: l’impatto con Aphosis è imminente. Il meteorite ci colpirà tra una settimana”.
Fatte eccezione per la morte, è del tutto scontato sottolineare come su questo pianeta (senza scomodare l’universo, occupato com’è a detonare supernove) regni l’incertezza anche dentro le casseforti. Io non cerco di differenziarmi da nulla e non mi servono confronti, ma penso soltanto a coltivare la mia forma mentis poiché costituisce l’unico bene inalienabile. Chissà come morirò. Mi sono immaginato varie volte con la faccia dentro una pozza di fango; accasciato a terra dopo un collasso improvviso durante una delle mie corse. Quella descritta sarebbe una dipartita epica e avrebbe un certo stile, ma questo ragazzo calpesta l’erba cattiva, sua sorella naturale e in un tempo di crisi come questo vuole vendere la pelle a caro prezzo. See ya out there.

Francesco

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