Alle mie spalle alti cipressi indicano il cielo; lo sguardo mio verticalizza meno, però supera i tetti spioventi e non ha motivo d’abbassarsi. In un’immagine in bianco e nero raccolgo i frutti del mio narcisismo ch’io soltanto ho modo di coltivare.
Stretti nelle convinzioni e nei discorsi banali, non invidio coloro che hanno rinunciato a sé stessi per piegarsi alla paura del tempo. Non ho intesa alcuna con chicchessia e nulla mi ostacola nella visione d’un orizzonte immutabile al quale non conferisco valore alcuno.
Sono troppo romantico per fare presa su un cuore femmineo anche se dalla grottesca fierezza del mio portamento, a metà tra boria e calma, angolo con l’indifferenza, pare scaturire tutt’altro.
Qualcuno ruba con gli occhi da queste pagine: nient’altro che curiosità voyeuristica degna dello spettatore medio di un reality show. Qualcun altro forse attende di trovare vocaboli difficili per annotarseli oppure dei giochi di parole da replicare all’uopo.
Soltanto chi capiti qua per caso è innocente a patto che poi non ritorni più. Col verbo io faccio elemosina. Non m’interesso ad altri, ma altri s’interessano a me. D’altronde quando muovo un passo che m’è stato sollecitato io vengo redarguito dalla schizofrenia di chi lo ha chiesto e ciò si verifica perché certuni temono di assistere all’esaudimento dei loro desideri; v’è comunque un modo per uscirne e non escludo che un giorno riesca a trovare la quadratura del cerchio.
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