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Il Sé grandioso (del sottoscritto)

Intendo fornire un’ulteriore lettura a quello che è stato lo sviluppo della mia personalità poiché ho acquisito nuove nozioni per dettagliarlo maggiormente. Ritengo che la mia sublimazione sia stata preceduta da un ritiro pressoché completo di ogni idealizzazione dell’imago parentale, ma ho ragione di credere che tra questi due processi sia intercorso quasi un ventennio.
Ho la sensazione di essermi evoluto a scoppio ritardato, tutto d’un colpo; così, per supplire alla mancanza di un oggetto da idealizzare ho incanalato verso il mio Sé gli investimenti narcisistici per diventare io stesso quell’oggetto mancante: in questa fase si è innescata una sublimazione che fortunatamente non è sfociata in un’autovalutazione eccessiva altrimenti non sarebbe stata tale e mi avrebbe portato verso una condizione psicopatologica.
Nell’attività fisica e nelle sfide che puntualmente, in modo più o meno consapevole, io mi lancio, raccolgo, vinco o perdo, si palesa il trofismo del mio Sé grandioso che tuttavia rimane sempre autoreferenziale, difatti non cerco (almeno direttamente e per quanto m’è dato esperire a livello cosciente) l’approvazione altrui. Basto a me stesso, però non credo che questo atteggiamento sia una vittoria e come ho scritto in altre occasioni io mi sforzo di mantenerlo reversibile. Per me il narcisismo (isolato – ma guarda un po’, eh? – dai caratteri patologici) è stato ed è ancor oggi un humus tanto ideale quanto temporaneo. Potrei amare senza riserve o quasi, e solamente in un contesto monogamo poiché il mio Super-Io si è sviluppato in tal senso e pretende coesione. Non cerco e non saprei davvero cosa farmene della frammentazione che l’edonismo genera e al contempo illude di risolvere, dunque se sono estraneo a certe condotte ciò non scaturisce da ragioni morali (sia mai), bensì dal fatto che il mio livello introspettivo è talmente avanzato che ne inibirebbe gli effetti e di conseguenza non potrei trarne giovamento (per quanto illusorio). Alla luce di queste parole devo dare atto a chi ritiene pericolosa l’introspezione, ma credo che quest’ultima possa essere insidiosa solo nei passaggi da un livello significativo all’altro, come se ogni momento critico corrispondesse ad una finestra di tempo in cui l’approfondimento della propria introspezione rendesse inefficaci gli espedienti palliativi a cui taluni sono soliti ricorrere per mantenere un equilibrio precario. In ogni caso io tendo a circoscrivere tali questioni a me e non sono interessato ad analizzare altri perché non mi reputo in grado di farlo, tuttavia è quasi inevitabile che talvolta la conoscenza di sé stessi lambisca anche la conoscenza dei propri simili.

Francesco

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