Quasi ogni trecentosessantacinque giorni, il ministero dell’economia sito nella periferia del mio encefalo stanzia una cifra modesta per il gioco d’azzardo. Qualche anno fa giunsi ad accumulare centottanta euro al black jack partendo da dieci, ma alla fine persi tutto. In seguito rischiai di vincerne oltre seicento con le scommesse calcistiche, ma poi il Parma vinse contro la Fiorentina e le reti dei gialloblu segnarono anche la mia débâcle. Infine, piuttosto recentemente, ho vinto ben duecentosessantadue euro alla roulette francese, puntando solo sulle dozzine e senza usare null’altro che intuizioni estemporanee, ma com’è giusto che sia le mie vincite sono tornate al banco nell’arco di breve tempo. Bene, tutto ciò cosa m’insegna? Che probabilmente sono fortunato in amore, eh. In realtà ritengo che per il gioco d’azzardo occorrano abilità che io non possiedo. Sono in grado di conseguire vincite nel breve periodo, però non arrivo mai a capire quando devo abbandonare il tavolo verde e ciò dipende da due fattori. Anzitutto io do per scontato che i sesterzi dedicati al gioco siano persi in partenza, di conseguenza non mi diletto a sfidare la sorte con l’intento di guadagnarci e dunque viene meno in me l’attaccamento alla pecunia. Insomma, per chi non sia avvezzo allo stoicismo, prima di giocare consiglio di leggere qualcosina di Seneca per affrontare il tutto con il dovuto distacco. In secondo luogo: sono un idiota. Il gioco d’azzardo è divertente e per pochi eletti può essere fonte di reddito, però io non sono all’altezza d’intenderlo in un modo che non sia strettamente ludico, perciò non ho la “fame” necessaria per impegnarmici in maniera fruttuosa, splendidamente lucrativa!
Ricordo l’epopea del buon vecchio Bogdan, degna della penna di Virgilio, d’Omero o di qualche pubblico ministero. Ancora ghigno quando rammento com’egli ospitò nella sua casa alcune mignotte e, per quest’utile servigio reso alla malavita locale, gli furono dati denari a tre zeri che perse proprio alla roulette dopo aver perso la sua fidanzata per quanto sopramenzionato. Anche il mio presunto padre era un accanito giocatore e infatti uno dei pochi ricordi che ho di lui consiste in una simpatica gita all’ippodromo di Grosseto: mai come in quell’occasione io udii cotante invettive rivolte ad un ignaro quadrupede, reo d’essersi attardato al traguardo!
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