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Princìpi d’amore

Pubblicato martedì 10 Maggio 2011 alle 16:41 da Francesco

Ultimamente dalle mie parole s’alzano verso la coscienza le mancanze affettive di cui io sono un portatore sano. Forse le spire della primavera, in cui paiono volteggiare le creazioni più sublimi, acuiscono in me una nostalgia che non posso definire tale perché antecede la separazione dalla quale solitamente si origina. Credo che ogni cosa buona si generi autonomamente e allo stesso tempo conceda agli esseri senzienti l’illusione di potersene ascrivere i meriti.
Ricorre in me la mancanza di una controparte e l’incompletezza che ne deriva. Talvolta mi sento come un invalido emotivo benchĂ© mi renda perfettamente conto di quanto io sia predisposto ad amare. Le incursioni dell’autocommiserazione vorrebbero minare la mia autostima, ma riescono soltanto a produrre frustrazioni di scarsa portata che puntualmente riciclo per produrre energia durante l’attivitĂ  fisica. La tristezza non mi domina sebbene tenti in ogni modo d’impadronirsi di me, ma qualche volta credo che sia opportuno cedere  po’ di terreno alle forze antagoniste per poi metterle in fuga. Questa lotta interiore dimostra quanto io sia in salute sotto ogni aspetto. Se non provassi nulla o se mi fossi arenato in quella bieca idiozia che è il fatalismo, allora forse sfoggerei un’atarassia insincera. Il travaglio precede il parto e quest’ultimo attesta la creazione. Senza ingiuriare troppo la modestia, io mi sento come un tesoro da scoprire, immerso nel tempo corrente e nascosto dagli schemi consuetudinari delle relazioni interpersonali.
La mia inclinazione monogama desta spavento e agli occhi altrui produce congetture sbagliate. Non si tratta di una gara benché l’amore sia effettivamente una disciplina olimpica, ma ammetto di non conoscere persona alcuna che sia in grado di essere all’altezza d’un sentimento univoco. Concedersi a molti o a nessuno è cosa assai comune e semplice, perciò a qualsiasi livello, fisico o platonico, taluni e talune tengono i piedi in più scarpe, ma proiettare il tempo e le attenzioni verso un unico individuo senza ingenerare dipendenza reciproca è un atto miracoloso.
Non è una semplice unione dilatata nel tempo ad elevare l’animo umano, altrimenti basterebbe omologarsi ai falsi valori di qualche stupida religione per toccare il cielo con un dito, bensì è la consapevolezza e l’autenticità dei sentimenti reciproci a determinare una compiutezza duplice. Dall’istinto si può evadere soltanto con la ragione e secondo me è un percorso razionale quello che conduce all’amore sebbene io creda che quest’ultimo non rientri nel primo né nella seconda. La poesia e il romanticismo spicciolo alimentano i rapporti di dipendenza, nascondendone i tratti insinceri con parole quali “alchimia” e “magia”, ma io non conferisco all’amore soprannaturalità e per questo motivo lo elevo al livello dell’essere umano invece di confinarlo nella superstizione. La mancanza che provo è naturale così come lo è ciò che può dissolverla, di conseguenza tutto è nell’ordine delle cose e per me è un grande privilegio rendermene conto.
Chiunque venga sopraffatto dalla tristezza per l’assenza d’amore nella propria esistenza forse riduce a quest’ultima l’intera realtà, ma la natura e le regole che la sottendono non sono affatto il riflesso di un’esperienza soggettiva. Un tempo gli esseri umani si limitavano a riprodursi, ma poi alla necessità di figliare s’aggiunse quella di amare nel senso più profondo che da qualche secolo viene attribuito a questo verbo, erede di parole diverse e sito nell’etimologia quanto lo è l’amore nella filogenesi. Non mi si parli d’amore quando due solitudini annoiate si ritrovano a giocare con i loro sessi: quello è un passatempo istintuale che se venisse praticato in misura maggiore renderebbe questo pianeta meno frustrato e non è affatto paradossale che io scriva ciò. Quanto mi auguro non s’eredita né si compra, non si patteggia né si può pretendere, perciò è meglio che io aguzzi lo sguardo per ravvisarlo nel susseguirsi degli eventi.
Nessuna idealizzazione deve colonizzarmi e non devo tributare nulla ai pensieri perché questi non esistono a meno che non abbiano dei garanti nella realtà in grado di avvalorarne l’essenza. Nella realtà quotidiana quanto ho scritto finora non si tradurrebbe né si traduce affatto in un asservimento mutuo e sfuggirebbe (difatti sfugge) di certo ai toni ampollosi di questo appunto, perciò conterebbe (e solo può contare) sull’ironia, perno di ogni istanza che abbia la sua origine nelle regioni più nobili e autentiche della personalità. Io non devo identificarmi nell’altra né delegarle la mia sopravvivenza, bensì rassicurarla per andarci di pari passo.

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