Sono nel pieno delle forze e non potrei versare in condizioni migliori per affrontare il mio kali yuga personale. Vigore e sofferenza si scontrano in me, però non capisco se siano soltanto antitetici o anche complementari. Mi sento come se fossi il cinquantunesimo argonauta di stanza nel mio mondo interiore. Devo conservare il prana e dare una giusta forma al desiderio affinché quest’ultimo non venga deformato dalla paura né dalla frustrazione. Devo adattarmi ad un tipo d’armonia diversa da quella che ho conosciuto fino ad oggi. Per quanto possa suonare strano, credo che la solitudine sia un paradiso transitorio in cui non si possono mettere radici a meno che non lo si voglia inquinare. Ho carezzato una definizione simile per anni, ma finora non l’avevo mai sentita completamente mia. Non posso cambiare il mio assetto interiore in un battito di ciglia, perciò immagino che sia naturale un periodo di transizione durante il quale io avverta una sofferenza indicibile. Anche ricorrendo a qualche danza sacra credo che sia difficile stare perennemente a tempo con i cambiamenti inevitabili della propria esistenza.
Ho commesso errori monumentali, come se avessi ancora bisogno di altre cattedrali nel deserto. Pago i miei sbagli senza buttarmi giù. Ultimamente faccio fatica ad addormentarmi, però non ho paura dei fantasmi che mi sfidano. Erano anni che non mi trovavo a combattere contro il dolore. Una parte di me vorrebbe abbattersi perché è più facile e consolante, ma non ci penso proprio a cadere. Conosco le astuzie dell’inconscio. Incasso i colpi che non riesco a schivare e mi sembra che qualcosa mi laceri dallo sterno fino all’ombelico, ma in questi casi ritraggo l’addome e me lo batto con colpi secchi per attenuare i picchi di frustrazione.
Se mi lasciassi andare allo sconforto per me sarebbe la fine e di certo non troverei mani tese ad aiutarmi. Non mi serve la comprensione, ma voglio meritarmi la possibilità di amare e per quanto sia difficile, la perderei irrimediabilmente se in primo luogo dimenticassi d’amare me stesso. Per quanto mia madre mi voglia bene, io non riesco a primeggiare neanche nel suo cuore e non la incolpo per questo, ma nel corso degli anni, di conseguenza, ho finito per credere che non sarei mai riuscito ad essere un punto di riferimento per una ragazza e anche a causa di questa convinzione sbagliata sono rimasto distante dall’altro sesso.
Mi sono concentrato troppo su me stesso, ma la mia unica alternativa era l’autodistruzione e se l’avessi scelta allora la croce invece di sfasciarla in terra me la sarei ritrovata due metri sopra il cranio. Avverto una sofferenza profonda che voglio sconfiggere benché per adesso riesca solo a conviverci. Qualcuno si anestetizza con il tabacco, con l’alcol, con la droga o con le parole degli amici, ma io non sono mai ricorso a nulla di tutto questo e oggi più di ieri voglio la lucidità al mio fianco per attraversare un periodo che si preannuncia lungo e denso di mestizia.
Pago sempre la mancanza di esperienza e dentro di me c’è molto d’inespresso che non riesce a trovare uno sbocco. Dopo anni di serenità solitaria forse era inevitabile che arrivassi a questo punto, ma ne sono contento perché mi sento vivo. Soltanto una malattia grave potrebbe avere qualche chance di annientarmi, perciò se un cancro volesse mettersi i guantoni… Adesso io non posso più vantare la brutta copia dell’atarassia, ma chissà, prima o poi potrei riappropriarmene.
In certe parti del mondo le persone muoiono insensatamente, mentre in altre le zone del globo gli individui non riescono a vivere benché le loro funzioni vitali siano attive. Talvolta sembra che tra il pleistocene e il presente quasi non vi siano migliaia e migliaia di anni. Sopraffare, fottere e guadagnare: mi domando se davvero tutto si riduca a questa osservanza della legge di natura. Vorrei iniziare ad amare qualcuno prima di essere troppo vecchio per farlo completamente, però devo anche fare i conti con la realtà che mi circonda e non vedo nulla di promettente attorno a me. Ogni tanto, anche quando mi trovo in ampie radure, mi sento come un animale in gabbia.
Sono forte e sereno, ma vivo come un nomade in un vuoto stanziale. Non sono abituato a stare nei pensieri di qualcun altro, perciò non sono in grado di capire se io interessi ad una persona o meno. Non riesco a captare certi segnali perché affettivamente io sono un completo analfabeta. A intervalli irregolari spunta sempre fuori qualcuno o qualcosa a ricordarmi che la mia esistenza potrebbe anche conoscere la condivisione e l’amore reciproco, però puntualmente, di questo promemoria, resta soltanto una raccomandazione per il futuro.
Prima o poi il tempo chiuderà il mio cuore e forse nell’amarezza di questa evenienza riuscirò a trovare comunque un po’ di sollievo per una certezza di cui comunque farei volentieri a meno. Molte cose possono cambiare dal giorno alla notte e in questo angolino dell’universo talvolta si sono verificati cambiamenti straordinari per intere popolazioni e per singole vite. Non credo ai miracoli e non me ne aspetto uno, inoltre non sono condannato a nulla, o almeno, non ancora.
Le parole non riescono sempre a sistemare tutto, ma possono dare una forma più accomodante e sincera a determinate dinamiche. Quando quasi tutto si dissolve può subentrare il desiderio di salvare il salvabile e spesso quest’ultimo è composto da pezzi d’orgoglio privi di utilità che, seppur in ritardo, cedo volentieri per non fare un torto all’autenticità dei miei moti interiori. In questo periodo tribolazioni d’intensità variabile sferzano il mio umore mutevole. Ancora una volta mi appello al tempo che tutto sistema e tutto debella.
Finalmente ieri, dopo quasi due mesi, sono tornato a correre. Ho accorciato di tre chilometri il mio itinerario e di conseguenza ho coperto una distanza di diciottomila metri con un passo di quattro minuti e quaranta al chilometro. Ho sentito le gambe pesanti e il vento contrario non mi ha facilitato la prestazione, però sono soddisfatto di questo ritorno e credo che presto riotterrò la velocità di un tempo sul percorso originale.
Al di là delle questioni tecniche, per me è stato davvero importante il ritorno alla corsa anche e specialmente sotto l’aspetto emotivo. Non posso certo seminare podisti esperti e più svelti, ma quando corro riesco a lasciarmi dietro ogni delusione, ogni aspettativa funerea, ogni dolore e tutto l’armamentario della tristezza. Quando torno a casa non c’è nessuno ad aspettarmi, ma dopo una fatica del genere non rientro mai abbattuto e anzi, un profondo senso di orgoglio mi fa sempre strada. Talvolta, di sera, dopo una mezza maratona (o una distanza che le si avvicini molto) io sfioro la commozione e qualche volta arrivo anche al punto di lacrimare. L’attività fisica è lo strumento con il quale mi sono salvato la vita e per mezzo di cui me la continuo a rendere piacevole. La produzione di endorfine che avviene durante la corsa svolge un ruolo importante in tutto ciò, ma non è una questione esclusivamente biochimica e difatti, almeno nel mio caso, il primo motore è quello della volontà di vivere. Ogni tanto, se potessi sdoppiarmi, mi abbraccerei. Tra dieci anni mi vedo ancora sulle stesse strade, sotto gli stessi soli pomeridiani, tra equinozi e solstizi ormai assodati, con auricolari (questi mi auguro diversi!) per veicolare melodie veloci e potenti, con le smorfie facciali forse un po’ avvizzite Chissà, per me e la corsa potrebbe valere una celebre formula che di solito ricorre in altri ambiti: “Finché morte non vi separi”.
Nei giorni precedenti il mio stato d’animo era sceso drasticamente perché avevo visto collassare su se stessa un’occasione rara e meravigliosa. Il desiderio genera sofferenza, ma è un rischio che sono sempre pronto a correre, in tutti i sensi. Dovrei scrivere certe cose a qualcuno, ma alla fine anche così va bene, senza parole.