Sono un vile perché zucchero il tè verde, ma espio le mie colpe levando le zecche ai miei gatti. Quando Freud affermò che la coscienza è solo una proprietà della mente egli ricevette molte critiche dai luminari del suo tempo, però in seguito la sua posizione fu ripresa da vari neurologi. Secondo quanto ho letto, la coscienza si originerebbe nel tronco encefalico e riguarderebbe una percentuale assai ridotta delle azioni umane che in larga parte (per oltre il novanta percento) si svolgerebbero inconsciamente.
Sono stato un po’ spiazzato dallo stretto legame che pare intercorrere tra l’evoluzione biologica e la coscienza, però non sono riuscito a convincermi che tale rapporto non sussista. Sono stato colpito anche dalla questione dell’esperienza unificata della coscienza, difatti gli stimoli sui quali si poggia quest’ultima seguono percorsi differenti nel cervello e non è chiaro come poi risultino inscindibili all’individuo. Per chiarire questo punto alcuni studiosi hanno cercato di identificare le strutture che accolgono ed elaborano gli stimoli delle percezioni, io tuttavia sono rimasto più affascinato dall’ipotesi dei quaranta hertz che declina la questione in termini temporali. Secondo l’ipotesi summenzionata, e stando a quanto ho letto limitatamente all’esperienza visiva, vi sono cellule corticali che effettuano scariche sincronizzate con un ritmo di quaranta hertz, perciò ogni secondo di coscienza sarebbe suddiviso in quaranta momenti che si alternano in modo talmente rapido da garantire alla coscienza la sua parvenza continuativa e unitaria. Durante la lettura di questo argomento mi è venuta in mente una citazione olistica di Aristotele: “Il tutto è maggiore della somma delle sue parti”.
Ho esteso il mio sorriso quando mi sono imbattuto sul ruolo che gioca l’intelligenza nella mente. Attraverso alcuni esempi che prendevano in esame l’intelligenza artificiale per il test di Turing è emerso chiaramente come non sia possibile riprodurre anche una mente, difatti un software su un computer non ha consapevolezza di sé e non può generare il bagaglio emotivo che risulta proprio di un individuo. Tutto ciò avalla la tesi secondo la quale la coscienza è legata al tronco encefalico che a sua volta è in stretto collegamento con i visceri del corpo, perciò anche a me pare plausibile che la presenza di quest’ultimo determini la coscienza. Quanto ho appreso mi è chiaro, o almeno credo, e da profano non ho ragione di obiettare qualcosa, però io credo che sarebbe un errore considerare tutto ciò come bieco materialismo.
Prima di affrontare l’argomento in una lettura recente, non avevo mai considerato la possibilità che un comportamento cosiddetto “intelligente” potesse verificarsi anche laddove mancasse la coscienza. A riprova di quanto appena scritto vi sono casi di pazienti neurologici in cui sono state riscontrate delle capacità cognitive nonostante queste non fossero accompagnate affatto dall’esperienza cosciente. Da questo punto si genera una domanda interessante sul ruolo e il fine della coscienza, difatti se i comportamenti intelligenti sono possibili anche in sua assenza allora sorge spontaneamente la necessità di spiegare il motivo della sua esistenza.
A costo di saltare di palo in frasca (ma non credo di correre questo rischio) mi sono imbattuto in un’intervista a Michelle Thomasson, moglie di Henri che diffuse in Italia il pensiero di Gurdjieff. Costei afferma delle cose interessanti in cui mi rivedo e parte da considerazioni sull’estetica per estenderle coerentemente fino a questioni esistenziali: notevoli gli ultimi tre minuti e mezzo.
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