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Neuropsicoanalisi

Pubblicato lunedì 25 Aprile 2011 alle 20:05 da Francesco

Da circa una settimana mi sono immerso nella lettura de “Il cervello e il mondo interno” di Mark Solms e Oliver Turnbull. Questo testo costituisce un punto d’incontro tra le neuroscienze e la psicoanalisi, ma forse sarebbe più opportuno definirlo come un ricongiungimento poiché Freud riconobbe i limiti di cui soffriva la neurologia al suo tempo e l’abbandonò per battere una strada che ancor oggi certuni (specialmente nel mondo scientifico) fanno oggetto di ludibrio.
Un paio di anni fa ho letto un manuale di neuroscienze, però ne ho ricavato un’infarinatura che soltanto adesso mi risulta meno confusionaria, grazie all’integrazione con la lettura del libro suddetto, e di cui, in ogni caso, conservo pochi concetti di base. Temi quali la neurofisiologia, la neurochimica e la psicofarmacologia mi attraggono, tuttavia non intendo profondere sforzi per studiare compiutamente queste branche del sapere perché, oltre a dubitare d’esserne in grado, posso limitarmi ad attingere quanto mi è necessario e indirizzare altrove le mie energie.
Il tentativo di mappare la coscienza nelle aree del cervello è affascinante e, con un approccio un po’ naif, mi domando se i progressi in questa direzione possano portare l’uomo a svelare cosa si celi dietro (o dopo) la perdita della coscienza nel senso tanatologico del termine.
Di difficile accettazione e di stampo materialistico, voglio annotare una citazione di Francis Crick che tuttavia dal basso della mia ignoranza non sottoscrivo affatto: “Tu, con le tue gioie, i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, non sei altro che la risultante del comportamento di una miriade di cellule nervose e delle molecole in esse contenute”.
Sulla relazione tra cervello e mente la filosofia ha creato varie scuole di pensiero (eh, penso che non vi sia espressione più adatta in questo caso) e le più diffuse sono sintetizzate nelle pagine de “Il cervello e il mondo interno”. Tra le varie teorie sono stato colpito da quella del monismo dal duplice aspetto percettivo. Secondo questa concezione un essere umano non è in grado di conoscere la materia di cui è composto senza prima rappresentarsela attraverso le percezioni. Di conseguenza, secondo il monismo dal duplice aspetto percettivo non è possibile conseguire una visione diretta della materia della mente, bensì solo rappresentazioni figurate: dei modelli. Stando a quanto ho letto e capito, la mente appare fisica quando viene osservata dall’esterno e assume un aspetto “mentale” da una prospettiva interna, rendendola perciò una produzione delle percezioni e ciò sottolinea una sorta di conflitto d’interessi dove l’osservatore della mente è anche il mezzo attraverso cui la suddetta viene osservata. Da qui (o meglio, anche da qui) continua l’indagine sul legame che correla la soggettività di un individuo ai processi del cerebro.

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