Sono nel pieno delle forze e non potrei versare in condizioni migliori per affrontare il mio kali yuga personale. Vigore e sofferenza si scontrano in me, però non capisco se siano soltanto antitetici o anche complementari. Mi sento come se fossi il cinquantunesimo argonauta di stanza nel mio mondo interiore. Devo conservare il prana e dare una giusta forma al desiderio affinché quest’ultimo non venga deformato dalla paura né dalla frustrazione. Devo adattarmi ad un tipo d’armonia diversa da quella che ho conosciuto fino ad oggi. Per quanto possa suonare strano, credo che la solitudine sia un paradiso transitorio in cui non si possono mettere radici a meno che non lo si voglia inquinare. Ho carezzato una definizione simile per anni, ma finora non l’avevo mai sentita completamente mia. Non posso cambiare il mio assetto interiore in un battito di ciglia, perciò immagino che sia naturale un periodo di transizione durante il quale io avverta una sofferenza indicibile. Anche ricorrendo a qualche danza sacra credo che sia difficile stare perennemente a tempo con i cambiamenti inevitabili della propria esistenza.
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