Ho commesso errori monumentali, come se avessi ancora bisogno di altre cattedrali nel deserto. Pago i miei sbagli senza buttarmi giù. Ultimamente faccio fatica ad addormentarmi, però non ho paura dei fantasmi che mi sfidano. Erano anni che non mi trovavo a combattere contro il dolore. Una parte di me vorrebbe abbattersi perché è più facile e consolante, ma non ci penso proprio a cadere. Conosco le astuzie dell’inconscio. Incasso i colpi che non riesco a schivare e mi sembra che qualcosa mi laceri dallo sterno fino all’ombelico, ma in questi casi ritraggo l’addome e me lo batto con colpi secchi per attenuare i picchi di frustrazione.
Se mi lasciassi andare allo sconforto per me sarebbe la fine e di certo non troverei mani tese ad aiutarmi. Non mi serve la comprensione, ma voglio meritarmi la possibilità di amare e per quanto sia difficile, la perderei irrimediabilmente se in primo luogo dimenticassi d’amare me stesso. Per quanto mia madre mi voglia bene, io non riesco a primeggiare neanche nel suo cuore e non la incolpo per questo, ma nel corso degli anni, di conseguenza, ho finito per credere che non sarei mai riuscito ad essere un punto di riferimento per una ragazza e anche a causa di questa convinzione sbagliata sono rimasto distante dall’altro sesso.
Mi sono concentrato troppo su me stesso, ma la mia unica alternativa era l’autodistruzione e se l’avessi scelta allora la croce invece di sfasciarla in terra me la sarei ritrovata due metri sopra il cranio. Avverto una sofferenza profonda che voglio sconfiggere benché per adesso riesca solo a conviverci. Qualcuno si anestetizza con il tabacco, con l’alcol, con la droga o con le parole degli amici, ma io non sono mai ricorso a nulla di tutto questo e oggi più di ieri voglio la lucidità al mio fianco per attraversare un periodo che si preannuncia lungo e denso di mestizia.
Pago sempre la mancanza di esperienza e dentro di me c’è molto d’inespresso che non riesce a trovare uno sbocco. Dopo anni di serenità solitaria forse era inevitabile che arrivassi a questo punto, ma ne sono contento perché mi sento vivo. Soltanto una malattia grave potrebbe avere qualche chance di annientarmi, perciò se un cancro volesse mettersi i guantoni… Adesso io non posso più vantare la brutta copia dell’atarassia, ma chissà , prima o poi potrei riappropriarmene.
Parole chiave: Kali Yuga, periodo funesto, tristezza