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Una faglia s’è mossa

Esattamente un mese fa mi trovavo in Giappone per la terza volta. Gli elementi hanno piegato il Sol Levante, e le acque che secoli addietro lo salvarono dall’invasione mongola, adesso stanno avvicinando una parte del paese ad Atlantide. La storia giapponese è intrisa di tragedie e rinascite così come la cultura nipponica è impregnata di fatalismo, perciò la ripresa della nazione è soltanto una questione di tempo: quest’ultima è condannata a rifiorire, proprio come i suoi ciliegi che tante volte hanno custodito le mie camminate. Negli ultimi vent’anni il Giappone ha perso parte del suo smalto e la catastrofe di cui è vittima sembra un colpo di grazia che difficilmente avrebbe potuto verificarsi in una congiuntura economica peggiore.
Molti esseri umani cercano spesso di antropomorfizzare la natura, ma quest’ultima non ha morale per definizione e personalmente non vedo una concessione materna dinanzi ai suoi spettacoli più incantevoli né ravviso crudeltà alcuna ogniqualvolta il suo dispiegamento risulti fatale o potenzialmente tale per la mia specie. Forse posteri lontanissimi un giorno sapranno influenzare addirittura i pianeti e raggiungeranno una padronanza della materia che i loro avi, miei coevi, ancor oggi riconoscono agli dèi qualora, poveri loro, non abbiano avuto la fortuna di essere baciati dall’ateismo.
Mi sarebbe piaciuto trovarmi nella parte settentrionale di Honshu e sopravvivere alle calamità, tuttavia avrei preferito ancora di più che un evento di tale portata avesse scosso soltanto l’interesse dei sismologi, senza causare vittime né danni. In altre parole, qualora un’apocalisse fosse inevitabile, io vorrei trovarmici e sopravviverci perché sono quasi certo che il contatto con il pericolo e la vicinanza alla morte impartiscano lezioni memorabili. Ovviamente considerazioni del genere sono discutibili, ma non vertono sul male altrui, come invece qualcuno potrebbe leggerle forzatamente per levarsi lo sfizio di puntarmi contro il suo dito preferito.
I cataclismi tirano fuori i lati peggiori e migliori del genere umano. Sorge inevitabilmente il gusto filantropico della solidarietà che fa storcere il naso ai ministri dell’economia sebbene costoro non possano palesare il loro disappunto; suppongo che l’acceso orgoglio dei giapponesi possa indurre il governo nipponico ad accettare soltanto gli aiuti indispensabili. Parallela al cordoglio di circostanza, scorre in certa gente una versione ipertrofica del sollievo di non essere presente nel dramma imperante, qualcosa che assume immancabilmente proporzioni tali da prendere il nome nefasto di Schadenfreude, ma tutto ciò talvolta lo si può vedere riprodotto in scala nelle sale d’attesa dei nosocomi.

Francesco

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