Dopo mesi di ritardo e un contratto stracciato, ho deciso di pubblicare il mio secondo libro attraverso Internet. Il testo può essere scaricato come e-book alla faraonica cifra di un euro e cinque centesimi su Amazon.
In una sezione del blog intitolata “I miei libri” ho inserito anche il mio primo scritto che può essere richiesto gratuitamente in formato PDF: “La masturbazione salvifica: diario agiografico di un onanista”.
Non ho i mezzi di una casa editrice e dubito che io possa ottenere qualsivoglia riscontro, tuttavia sono soddisfatto di ciò che ho creato e conto di ripetermi. La scrittura mi aiuta a vivere meglio e assieme alla lettura mi consente di sopportare agevolmente le carenze affettive: un po’ come l’assunzione di ferro per gli anemici.
Pubblicazione de “L’atea verginità, la beata verginità”
Pubblicato domenica 27 Marzo 2011 alle 23:10 da FrancescoFinalmente sono riuscito a liberarmi dai pensieri di colei che non era lei. È stato un aborto lungo e travagliato, ma alla fine è riuscito. Le cose buone accadono da sole anche quando sembra che i diretti interessati si sforzino molto per farle succedere, ma in questa occasione non v’erano manco le premesse. Probabilmente passerà qualche anno prima che il caso mi offra un’altra possibilità per conoscere qualcuno affine a me, però non me ne preoccupo affatto e sorrido con arroganza all’avvenire che vorrebbe farmi genuflettere ai piedi di un passato appena creato. Ormai sono vaccinato contro le delusioni, ma questo non mi rende freddo né distaccato, infatti sono sempre pronto ad abbassare tutte le difese e ad abbandonare le comodità della mia splendida solitudine per votarmi verso ciò che non ha pari in questo mondo e che forse non ne ha neppure altrove. A giugno compirò ventisette anni e, per amor del vero, benché ancora giovane, non posso negare che si stia chiudendo la mia finestra temporale per avere una relazione sentimentale. Già da tempo ho messo in conto quanto ora comincio a scorgere all’orizzonte ed è proprio per questo motivo che non ne sono intimorito. Quando il dubbio si farà certezza il contraccolpo sarà forte, però saprò superarlo perché non c’è nulla dentro di me che possa annientarmi emotivamente. Io sono nato per vivere. Per spirito di solidarietà vorrei infondere la stessa forza in quelle persone che purtroppo si lasciano schiacciare da esiti o prospettive simili. Le croci non mi donano, perciò le spezzo e ciò che ne resta lo lancio verso il futuro per ricordare a quest’ultimo che volente o nolente dovrà prepararsi al mio arrivo. Io cado in piedi, ma per darmi uno slancio ancora maggiore verso l’alto. In circostanze come queste il mio amor proprio esonda e mi fa sentire ancor più vivo di quanto già io mi senta solitamente. Non ho sensi di colpa, non ho rimpianti né altre zavorre e potrei finire negli abissi soltanto se il mondo si capovolgesse. Sono contento di scrivere queste frasi, ma sono ancor più felice di custodire ciò da cui scaturiscono e voglio che per un po’ campeggino tra questi appunti scevri di polvere. Non voglio essere il riflesso di un mondo violento né di una falsa personalità che ceda e si accasci su se stessa, bensì voglio mantenere i legami con la mia infanzia e la serenità da cui non c’è modo che io mi separi. Mi piace l’autenticità e disprezzo quanto le sia ostile. S’intristisca chiunque lo voglia, ma io voglio e provo ben altro.
A fasi alterne mi trovo a comunicare con una giovane puteolana. Questa signorina desta la mia curiosità, però è piuttosto stramba. Forse a lei piacciono i giochi da tavolo, ma sfortunatamente io non lavoro alla Hasbro e non sono molto portato per il Risiko.
Nelle nostre discussioni saltuarie non lesino mai gli improperi e ogni volta che comunichiamo io immagino sempre che sia l’ultima. Il protrarsi di questi scambi epistolari sottolinea la volontà comune di non emigrare definitivamente dai rispettivi emisferi, ma alla fine ci ritroviamo sempre con i bagagli in mano. Durante l’ultimo contatto la megera mi ha chiesto di fornirle il numero del mio cellulare e io ho accondisceso volentieri alla sua richiesta perché anche a me piaceva l’idea. L’arpia summenzionata ha fatto squillare il mio Nokia moribondo e mi ha chiesto di salvare il suo numero nonostante avesse detto che sarebbe stata lei a chiamarmi l’indomani. In seguito non ho ricevuto una sua telefonata, perciò mi sono rivolto quasi subito agli esperti di Betchley Park che tanto fecero per decifrare il codice Enigma dei nazisti. Dopo alcune ore ho ricevuto un primo telegramma dal Regno Unito. Secondo il responso la fanciulla mi aveva invitato a salvare il suo numero dimodoché il silenzio seguente mi inducesse a chiamarla, difatti così lei avrebbe potuto sincerarsi del mio interesse senza esporsi. Dopo la lettura del telegramma ho allontanato il monocolo dall’occhio e ho alzato l’indice destro verso l’Altissimo prima di pronunciar: “Giammai!”.
Memore dell’episodio di Odisseo con le sirene, ma soprattutto ancor più memore di quanto non me ne fregasse un cazzo durante l’orario scolastico, ho preso il mio cellulare e ho cancellato il numero della ragazza puteolana per evitare che la tentazione mi spingesse a chiamarla. Circe! Ecco con quale nome avrei dovuto salvarla in rubrica. Non escludo che la donzelletta sia lunatica e abbia cambiato idea nell’arco di qualche ora, ma non intendo indagare. Spesso sono aperto al dialogo, però non mi presto a certi giochetti. Accidenti, questa volta l’ho scampata per un pelo e di certo in me un pelo non tira più d’un carro di buoi, perciò mi metto davanti alle stanghe e me ne vado a fare in culo.
Di tanto in tanto, quando ero piccolo, udivo i discorsi esistenzialistici degli adulti e ogni volta mi ripromettevo che da grande non mi sarei mai perso in quelle stronzate. A distanza di anni credo di essere riuscito nel mio intento. Appaio insensibile perché non adotto né nutro angosce che di fatto non mi appartengono. Ad alcune persone risulta difficile fare quadrato attorno alle proprie vite senza disporre di almeno un lato tragico. Se fossi un estraneo farei notare a me stesso che una volta incontrati Euripide e Sofocle è difficile tornare indietro, ma possono bastare una fiction mielosa o quattro accordi orecchiabili per sortire gli stessi effetti su individui che militino presso altri livelli d’istruzione. La cultura può cambiare certe forme, ma credo che soltanto l’intelligenza possa divellerle e quest’ultima troppo spesso viene confusa con la prima benché riconosca che tra le due talvolta possa esserci un legame molto stretto.
Il vittimismo fa la fortuna dei falegnami, infatti c’è sempre qualcuno che vuole illudersi di portare una croce unica e inimitabile sulle proprie spalle. Credo che l’autocommiserazione talvolta possa costituire uno strumento utile, specialmente quando uno si trovi alle prime armi con se stesso e non abbia a disposizione quei mezzi che l’esperienza elargisce in seguito a chiunque sia ben disposto verso di lei, perciò considero il vittimismo come un errore di gioventù che al fine di essere propedeutico (questo è il paradosso che io ho rilevato) non deve ripetersi né ammaliare. A me non interessa stabilire verità o avere riscontri oggettivi da esibire per vanità intellettuale. Mi occupo di me e non ho bisogno di colonizzare il pensiero altrui per sentirmi vivo. Sono aperto al bene, anche di notte e durante i giorni festivi, però non lo faccio entrare quando si presenta con il male di qualcun altro. Non nuoccio mai a nessuno a meno che non debba difendermi.
In altri continenti ho provato scariche di libertà che poi ho saputo accogliere nuovamente nella mia terra natia. La malinconia brucia nell’atmosfera del mio cuore intonso e di conseguenza le è impossibile atterrare o atterrirmi. Potrei anche deglutire cucchiaiate di sconfitte e delusioni per il resto della mia esistenza, ma questa sciagurata ipotesi comunque non cambierebbe un cazzo. Nelle mie parole non si trova il senso del sacrificio né la ricerca dello stoicismo, vezzi eroici che devono essere conservati in una dose di ingenuità largamente maggiore rispetto a quella di cui io dispongo nelle mie peraltro già scarse riserve. Questo pianeta senza il genere umano forse avrebbe un aspetto migliore (almeno per i canoni umani, che però in questo caso risulterebbero assenti), ma per quanto sgradito, io non mi sento un ospite in colpa e mi mantengo sereno.
Il dottore passava in rassegna le incubatrici e ogni tanto estraeva un martello dal camice per colpire i crani dei neonati, ma l’infermiera che lo accompagnava gli chiedeva costantemente e cortesemente di non fracassare le teste dei nascituri. Purtroppo il dottore era un vero monello e dopo ogni dispetto fatale rideva sotto i baffi; alcune incubatrici diventavano bacinelle di sangue in men che non si dica. All’obitorio del nosocomio due simpaticoni giocavano a minigolf e come mazze usavano i femori che ogni volta si prendevano la briga di estrarre dai loro ospiti più alti. Altri due uomini nel parcheggio delle ambulanze si divertivano a tirarsi addosso un cuore che avrebbero dovuto consegnare al più presto per un trapianto molto importante. In una stanza un’infermiera annoiata staccava e riattaccava la macchina di ossigenazione extracorporea di una paziente anziana e di conseguenza a quest’ultima la morte compariva ad intermittenza. Fantastiche casette di marzapane e montagne di zucchero erano state approntate in una sala per i bambini affetti da gravi forme di diabete. Flebo di assenzio pendevano dall’alto e impacchi di tricloruro di arsenico venivano praticati a discrezione del personale sadico. Un chirurgo usava il bisturi per dare slancio alla propria vena artistica sulle vene altrui e tutt’intorno v’erano grida.
Dunque, per fare questo esperimento ho seguito scrupolosamente la solita procedura. In primis, il missaggio l’ho fatto con il duodeno, ma dato il carattere autoreferenziale della cosa non devo scusarmi per i volumi. In secondo luogo, la scelta delle immagini si è basata su precise scelte a cazzo di cane. Mi piace il testo e l’ho scritto perché sento la mancanza di qualcosa del genere in italiano, ma avrei preferito veicolarlo con sonorità power metal che purtroppo non sono nelle mie corde. Ovviamente Granny Love resta insuperabile e rappresenta indubbiamente la mia vetta. Questa cosa può essere scaricata qui.
Conduco un’indagine come fece Diogene
Sotto il collagene reazioni endogene
Negli androni transitano legioni di androgini
La ragione non s’illumina coi gruppi elettrogeni
Grappoli di granate tra branchi avversi
Anestetici e protesi per gli arti persi
Ipotesi e tensioni sostengono la stasi
Metastasi diffuse sospendono le frasi
I resti resi alla cenere da cui sono stati presi
Non credo ai testi sacri né ai paradisi pretesi
Nego imposture e false consolazioni
Rifiuto le letture delle costellazioni
Non importa se nelle grotte o negli ostelli
Ai pensieri gretti spetta la notte dei lunghi coltelli
Incava la mia inventiva come un alveolo
La colmo per trasmetterla attraverso Eolo
La metafisica attende l’ultima rettifica
Infima la caratura d’ogni dottrina malefica
Infonde sogni e paura per dominarne la modifica
Contropartita modica per il cambio dell’etica
Il tempo mitiga l’Ego e ne regola il dispiego
Io scollego il disprezzo dal diniego
Mi reco altrove
Laddove crescono mangrovie mentre io pace m’arreco
I pensieri perversi o meno sono sempre innocenti
Le morali ne usano la forma per forgiare penitenti
Cospicua presenza di finti ribelli
Sostanza esigua piena di filtri e satura di orpelli
Processi alle intenzioni senza misura né appelli
Le psiche deboli si radunano in drappelli
Tra i vapori proiettano un’aporia che le debelli
Sui patiboli tutti deporranno i cappelli
Apprendo mentre mi muovo in perenne cambiamento
Nulla di nuovo sempre che l’Eterno Ritorno abbia fondamento
Nei sensi si diffondono intuizioni accorse
Lucifero portò la luce oppure la rincorse?
Risorse un po’ scarse come i caveau svuotati nelle borse
Non esorto l’esoterismo e lascio tutto al forse
Non voglio un lascito né un lasciapassare per i dedali
Se vuoi dedicatici, creati feticci, dèi e venerali
Nel mio microcosmo nulla si avvicina e nulla si allontana. Sollevo il capo e volgo lo sguardo verso il cielo ogniqualvolta si presenti l’occasione di assistere al rapido passaggio di un aereo o di un elicottero. Ogni tanto il silenzio mi avvolge, tuttavia non mi stritola mai e difatti tra le sue spire riesco a respirare benissimo. Qualcuno non è in grado di guardare nel proprio futuro, ma questa incapacità non dipende dalla scarsa dimestichezza con le arti divinatorie ed è semplicemente la mancanza di un avvenire che talvolta nega qualsiasi visione al di là del presente.
A me piace essere sincronizzato con il divenire. Non posso produrre nostalgia perché non ho la materia prima e non intendo importarla né introiettarla. Agli alberi, oltre all’anidride carbonica, io consegno anche il surplus d’amor proprio che ancora non ho modo di convertire in attenzioni e riguardi verso chicchessia. Ci sono stati emotivi nei quali non ho mai sconfinato e ora come ora al loro interno sarei un clandestino. Dubito che sia sufficiente sommare le affinità e sottrarre le differenze per capire se certi risultati siano positivi o meno, ma io in ogni caso non mi pongo il problema perché non riduco certe dinamiche all’aritmetica né tanto meno ad eventuali aritmie.
Nel mio comune si avvicinano le elezioni amministrative, però anche in questa triste occasione io sarò costretto ad astenermi perché non scorgo una vera scelta. Potrei votare soltanto se fossi in grado di capire se per il mio territorio sia meno nocivo il malaffare o l’incompetenza, in quanto queste sono le proposte elettorali che vengono offerte dalle mie parti. In questa corsa politica figura anche un mio parente che io ho puntualmente disconosciuto e al quale auguro di perdere senza tuttavia nutrire speranza alcuna per la vittoria dei suoi oppositori, suoi (in)degni rivali.
A giugno mi recherò alle urne per i quesiti referendari e voterò contro il legittimo impedimento perché è talmente surreale che sembra uscito da un quadro di Dalì o da un libro di Kafka, voterò per abrogare la legge Ronchi prima che anche l’aria venga privatizzata, voterò contro il ritorno all’energia nucleare per gli svantaggi inconfutabili che si porta dietro e di certo non sulla scia emotiva di quanto sta succedendo in Giappone.
Nell’attuale governo, la destra è soltanto la mano che alcuni figuri stringono ai trasformisti per dopare “la maggioranza”. Personalmente continuo ad auspicarmi che il cranio di ogni politico corrotto ospiti un proiettile di piombo. Desidero la morte e l’umiliazione di chiunque abusi del suo ruolo istituzionale per fare i propri interessi, indipendentemente dalla collocazione politica.
Un po’ come accade per i dischi, desidero appuntare qua sopra la tracklist del mio secondo libro. Tra qualche giorno renderò disponibile il tutto sia come e-book che in formato cartaceo. Per adesso la stesura della mia terza fatica è ferma, tuttavia conta già trenta pagine e, poiché è alquanto improbabile che io mi spinga troppo oltre le cento, posso considerarmi già ad un terzo dello scritto.
I. Peregrinazione rurale | 1 |
II. Ode alle valchirie e obbedienza alla lungimiranza | 14 |
III. Asepsi empatica | 21 |
IV. La notte delle epistole | 25 |
V. Prima lettera: esternazioni prolisse di un uomo depresso | 32 |
VI. Seconda lettera: l’amanza di un vedovo cagionevole | 36 |
VII. Terza lettera: per mano del delirium tremens | 39 |
VIII. Un rigurgito per le epistole viscerali | 42 |
IX. Quarta lettera: deposizione postuma | 44 |
X. Una latitanza innocente alla dogana cognitiva | 46 |
XI. Acque tranquille | 50 |
XII. Diserzione nuziale | 54 |
XIII. Il padre fedifrago | 57 |
XIV. La cronologia di un’insurrezione | 63 |
XV. Dialogo ai minimi termini sui massimi sistemi | 67 |
XVI. Demistificazione mattutina di vizi e virtù | 76 |
XVII. Inconcepibile | 81 |
XVIII. Dona eis requiem | 84 |
XIX. Prove tecniche di omosessualità | 87 |
XX. Terra nullius | 90 |
XXI. La birreria delle aureole dismesse | 93 |
XXII. Mezza maratona | 101 |
XXIII. La passione temperata del morente | 104 |
Esattamente un mese fa mi trovavo in Giappone per la terza volta. Gli elementi hanno piegato il Sol Levante, e le acque che secoli addietro lo salvarono dall’invasione mongola, adesso stanno avvicinando una parte del paese ad Atlantide. La storia giapponese è intrisa di tragedie e rinascite così come la cultura nipponica è impregnata di fatalismo, perciò la ripresa della nazione è soltanto una questione di tempo: quest’ultima è condannata a rifiorire, proprio come i suoi ciliegi che tante volte hanno custodito le mie camminate. Negli ultimi vent’anni il Giappone ha perso parte del suo smalto e la catastrofe di cui è vittima sembra un colpo di grazia che difficilmente avrebbe potuto verificarsi in una congiuntura economica peggiore.
Molti esseri umani cercano spesso di antropomorfizzare la natura, ma quest’ultima non ha morale per definizione e personalmente non vedo una concessione materna dinanzi ai suoi spettacoli più incantevoli né ravviso crudeltà alcuna ogniqualvolta il suo dispiegamento risulti fatale o potenzialmente tale per la mia specie. Forse posteri lontanissimi un giorno sapranno influenzare addirittura i pianeti e raggiungeranno una padronanza della materia che i loro avi, miei coevi, ancor oggi riconoscono agli dèi qualora, poveri loro, non abbiano avuto la fortuna di essere baciati dall’ateismo.
Mi sarebbe piaciuto trovarmi nella parte settentrionale di Honshu e sopravvivere alle calamità, tuttavia avrei preferito ancora di più che un evento di tale portata avesse scosso soltanto l’interesse dei sismologi, senza causare vittime né danni. In altre parole, qualora un’apocalisse fosse inevitabile, io vorrei trovarmici e sopravviverci perché sono quasi certo che il contatto con il pericolo e la vicinanza alla morte impartiscano lezioni memorabili. Ovviamente considerazioni del genere sono discutibili, ma non vertono sul male altrui, come invece qualcuno potrebbe leggerle forzatamente per levarsi lo sfizio di puntarmi contro il suo dito preferito.
I cataclismi tirano fuori i lati peggiori e migliori del genere umano. Sorge inevitabilmente il gusto filantropico della solidarietà che fa storcere il naso ai ministri dell’economia sebbene costoro non possano palesare il loro disappunto; suppongo che l’acceso orgoglio dei giapponesi possa indurre il governo nipponico ad accettare soltanto gli aiuti indispensabili. Parallela al cordoglio di circostanza, scorre in certa gente una versione ipertrofica del sollievo di non essere presente nel dramma imperante, qualcosa che assume immancabilmente proporzioni tali da prendere il nome nefasto di Schadenfreude, ma tutto ciò talvolta lo si può vedere riprodotto in scala nelle sale d’attesa dei nosocomi.