Tra le strade, i pensieri e l’eterno ritorno

Qualche giorno fa sono stato dalle parti di Shin-Imamiya, che assieme a Nishiniari è considerata una delle aree più pericolose di Osaka e dell’intero Giappone. In realtà la zona non presenta rischi e la sua nomea è ingiustificata, tuttavia pullula di senzatetto e disperati di vario genere che vagano storditi come dei morti viventi in mezzo alla sporcizia e al degrado. Durante la camminata ho avuto l’impressione di trovarmi in un manicomio a cielo aperto, ma con pazienti placidi, sedati dal dolore e dalla vergogna. La microcriminalità è pressoché assente. Insomma, nel caso in cui s’intendesse davvero classificare Shin-Imamiya come una zona pericolosa, allora bisognerebbe alzare (o meglio, abbassare) le quotazioni di altri posti sulla base della semplice fama, perciò lo Zen di Palermo, Secondigliano a Napoli o una qualsiasi banlieue dovrebbero essere equiparati all’Iraq.

Alcuni occidentali idealizzano molto il Giappone poiché fruiscono in maniera più o meno massiccia dei prodotti d’intrattenimento che alienano una buona parte dei giapponesi, insomma le bazzecole da otaku. Sono figlio degli anni ottanta, perciò ho guardato i cartoni animati nipponici, ho giocato con parecchi videogiochi del Sol Levante, ma almeno i manga, fatta eccezione per Jiraishin, non hanno attecchito su di me. Preferisco altre letture ai fumetti, tuttavia non voglio essere altezzoso e credo che le une possano tranquillamente convivere con le altre. La cortesia giapponese è rinomata in tutto il mondo e costituisce uno stereotipo vero, però è tremendamente meccanica e a tratti mi sembra davvero di trovarmi in un incubo orwelliano. In Italia certe volte pare quasi che il venditore venga infastidito dal cliente, mentre in Giappone quest’ultimo è sempre rispettato e riverito. Ho l’impressione che l’italiano medio confonda la libertà con la pretesa d’essere il centro dell’universo, mentre la controparte giapponese mi sembra soffocare in una spersonalizzazione vorticosa. Io non mi rivedo affatto nella società italiana né in quella nipponica e credo che siano le due facce della stessa medaglia. Ripeto: mi piacerebbe lavorare in Giappone per sei mesi o un anno (magari come lettore d’italiano), però non ci vivrei mai a meno di non essere costretto da cause di forza maggiore.

Qualche volta certi italiani mi chiedono come siano le donne giapponesi e le mie risposte a domande del genere si tingono sempre d’ironia. Cazzo, non conosco manco le italiane, cosa potrei mai narrare di quelle con gli occhi a mandorla e le gambe storte? Esteticamente non mi attraggono molto le ragazze asiatiche sebbene ve ne siano di avvenenti: comunque a me pare che sfioriscano presto. Non potrei mai avere una fidanzata orientale poiché ritengo la comunicazione un perno imprescindibile in un legame affettivo, sebbene qualcuno per confutarmi possa ricorrere alla retorica del linguaggio universale del corpo e delle emozioni. Ammesso che in futuro una ragazza entri nella mia vita, ho ragione di credere che costei sarà un’italiana (tale per sbaglio) o un’anglosassone. Se ragionassi con organi non deputati a farlo forse mi risolverei a studiare il finlandese. Per me la cultura è un elemento estetico, indipendente e allo stesso tempo notevolmente minore rispetto alla personalità di un individuo, e per poterne godere credo che non debbano esserci barriere linguistiche. Eros e logos sono simbiotici, ma qualcuno cerca sempre di contrapporre l’uno all’altro per rendere più sopportabile nei suoi legami la mancanza eccessiva di uno dei due elementi. Fottere senza parlare né capirsi è come parlare e capirsi senza fottere. Del triumvirato mi mancano due terzi, perché finora nella mia vita ho parlato, però forse non mi sono fatto capire (o magari io non ho capito) e per fottere i tempi non sono ancora maturi anche se i fiori cominciano già ad appassire. Inclinazione troppo cervellotica? Eh, beh: fanculo. Tra le tracce di vario genere che ascolto durante i miei vagabondaggi, ce n’è una particolare che in questi giorni metto in repeat piuttosto spesso per infondermi un po’ di sana malinconia, senza eccessi.

Francesco

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