Viste da lontane, le disgrazie italiane sembrano ancora più piccole e mediocri al cospetto del mondo. L’ignoranza diffusa in una larga parte dei miei connazionali, l’egoismo connaturato nella nazione di cui faccio parte e la saccenteria dei governanti (come dei loro oppositori) non ispirano il mio rimpatrio, benché a quest’ultimo manchino ancora svariate settimane. Mi sento atipico come italiano, ma per fortuna non sono un caso isolato. All’estero ho sempre la sensazione di essere un rifiuto riciclabile, a differenza di altri per cui credo che un recupero sia improponibile. Ovviamente non idealizzo il Giappone come fanno certi occidentali e per vivere preferirei decisamente Taiwan al Sol Levante poiché, per ragioni storiche e culturali, la ritengo un incrocio perfetto tra la Cina e l’arcipelago nipponico. Comunque non intendo neanche toccare i temi che tengono banco nel Bel Paese, concernenti papponi e zoccole, materia pregiata di questi ultimi giorni per i media italiani, bensì voglio procedere con il contenuto reale di questo appunto derogato.
L’altro ieri ho fatto un salto a Kyoto. Dalla stazione di Shin-Osaka, tramite un treno della JR e pagando 540 yen ho impiegato meno d’un ora per raggiungere quella che un tempo era chiamata Heian. Mi sono recato al castello Nijo, edificato per volere del celebre Tokugawa, inoltre ho visitato il Palazzo Imperiale, ma di quest’ultimo soltanto la parte esterna poiché l’ingresso era chiuso. Mi sono trovato in una Kyoto imbiancata e ho passeggiato sotto una nevicata improvvisa che ha donato candore e gelo alle mie visioni invernali. Non ho incrociato nessuna geisha (né a Kyoto né nel resto della mia vita), però ho notato diverse donne in abiti tradizionali. Mi sono fermato vicino al fiume Kamo con un ragazzo giapponese che parlava la lingua del generale MacArthur: insieme a costui, Iuto è il suo nome, ho discorso di qualche stereotipo tricolore e di calcio.
Kyoto merita un approfondimento, ma dovrei tornarci con condizioni climatiche più favorevoli. Ho in mente di fare un percorso fluviale, ma non so se in questo periodo sia fattibile. I miei piedi cominciano ad accusare le decine di chilometri che ogni dì sono chiamati a sostenere, difatti sotto il mignolo del piede destro si è formata una protuberanza notevole. Non ho portato con me le scarpe da running, per cui credo che alle calzature vada imputata la strage dei miei piedi. Ho soltanto un paio di Nike economiche e forse dovrei sostituirle. Non mi va poi tanto male, specialmente pensando a ciò che proteggeva i piedi dei soldati italiani in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale.
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