29
Gen

Emissioni notturne

Pubblicato sabato 29 Gennaio 2011 alle 19:08 da Francesco

Trasudo pace. Dov’è la nostalgia? Nei miei viaggi non fiorisce mai perché le erbacce si vergognano a crescere nei giardini pensili. Al tatto manca un po’ la morbidezza dei miei gatti, gli unici felini che m’è dato carezzare benché io adori l’intera famiglia e provi soltanto un doveroso senso di rispetto per il resto del regno animale. Il puma, il giaguaro, la tigre, la lince: tutti intenti a sbranare il topo, l’elefante e i due liocorni. Trovo che i pronomi possessivi stonino di fronte agli esseri senzienti, ma d’altronde costituiscono il dazio cacofonico da pagare per mantenere un briciolo di chiarezza.
Non riesco a capire se mi sembrino più divertenti quei giapponesi che provano ad assomigliare agli occidentali o quegli occidentali che cercano di fare l’inverso. Anche in Giappone, come del resto in ogni parte del mondo in cui non regni la fame o la Sharia, credo che l’uso degli strumenti per il maquillage dovrebbe essere soggetto alle stesse norme che regolano il porto d’armi. Secondo me certi modi di truccarsi deturpano il viso quanto un colpo di fucile a pompa in pieno volto, perciò penso che la Beretta potrebbe tranquillamente entrare nel mercato della cosmesi e finalmente le vittime fashion diventerebbero tali in senso letterale. In realtà non ho nulla contro le mode poiché dietro le stronzate che le compongono ci sono dei posti di lavoro. Io sembro un pezzente, ma in realtà sono un minimalista. Ho la barba incolta, ultimamente indosso dei pantaloni del Bayern Monaco, una felpa del Liverpool e un paio di Nike nere che presto dovrò cambiare.
Quando tornerò in Italia ricomincerò subito ad allenarmi. Ho voglia di correre e di alzare pesi. Mi manca l’attività fisica nonostante le lunghissime camminate di cui mi rendo protagonista ogni dì, manco dovessi sostenere delle prove per capeggiare un nuovo Esodo. Comunque sono contento, pago, disinvolto, sciallato, come dicevano i giovani un tempo, ovvero alcuni di coloro che oggi puntano le dita ormai trentenni contro le nuove generazioni: le prediche sono imperiture, santi numi! Nel mio lettore mp3 girano parecchie cose, tra cui un pezzo di James Senese (già una volta apparso su queste pagine) nel quale mi rispecchio tantissimo: è la prima scelta quando, stufo di velare il mood musicale con un po’ di malinconia, voglia riportarlo in crescendo, dimensione a me congeniale. Amen, cazzo, perché sono pieno di grazia. “D’int ‘a capa so’ vivo so’ vivo je nun tengo età”.

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26
Gen

Tra le strade, i pensieri e l’eterno ritorno

Pubblicato mercoledì 26 Gennaio 2011 alle 17:07 da Francesco

Qualche giorno fa sono stato dalle parti di Shin-Imamiya, che assieme a Nishiniari è considerata una delle aree più pericolose di Osaka e dell’intero Giappone. In realtà la zona non presenta rischi e la sua nomea è ingiustificata, tuttavia pullula di senzatetto e disperati di vario genere che vagano storditi come dei morti viventi in mezzo alla sporcizia e al degrado. Durante la camminata ho avuto l’impressione di trovarmi in un manicomio a cielo aperto, ma con pazienti placidi, sedati dal dolore e dalla vergogna. La microcriminalità è pressoché assente. Insomma, nel caso in cui s’intendesse davvero classificare Shin-Imamiya come una zona pericolosa, allora bisognerebbe alzare (o meglio, abbassare) le quotazioni di altri posti sulla base della semplice fama, perciò lo Zen di Palermo, Secondigliano a Napoli o una qualsiasi banlieue dovrebbero essere equiparati all’Iraq.

Alcuni occidentali idealizzano molto il Giappone poiché fruiscono in maniera più o meno massiccia dei prodotti d’intrattenimento che alienano una buona parte dei giapponesi, insomma le bazzecole da otaku. Sono figlio degli anni ottanta, perciò ho guardato i cartoni animati nipponici, ho giocato con parecchi videogiochi del Sol Levante, ma almeno i manga, fatta eccezione per Jiraishin, non hanno attecchito su di me. Preferisco altre letture ai fumetti, tuttavia non voglio essere altezzoso e credo che le une possano tranquillamente convivere con le altre. La cortesia giapponese è rinomata in tutto il mondo e costituisce uno stereotipo vero, però è tremendamente meccanica e a tratti mi sembra davvero di trovarmi in un incubo orwelliano. In Italia certe volte pare quasi che il venditore venga infastidito dal cliente, mentre in Giappone quest’ultimo è sempre rispettato e riverito. Ho l’impressione che l’italiano medio confonda la libertà con la pretesa d’essere il centro dell’universo, mentre la controparte giapponese mi sembra soffocare in una spersonalizzazione vorticosa. Io non mi rivedo affatto nella società italiana né in quella nipponica e credo che siano le due facce della stessa medaglia. Ripeto: mi piacerebbe lavorare in Giappone per sei mesi o un anno (magari come lettore d’italiano), però non ci vivrei mai a meno di non essere costretto da cause di forza maggiore.

Qualche volta certi italiani mi chiedono come siano le donne giapponesi e le mie risposte a domande del genere si tingono sempre d’ironia. Cazzo, non conosco manco le italiane, cosa potrei mai narrare di quelle con gli occhi a mandorla e le gambe storte? Esteticamente non mi attraggono molto le ragazze asiatiche sebbene ve ne siano di avvenenti: comunque a me pare che sfioriscano presto. Non potrei mai avere una fidanzata orientale poiché ritengo la comunicazione un perno imprescindibile in un legame affettivo, sebbene qualcuno per confutarmi possa ricorrere alla retorica del linguaggio universale del corpo e delle emozioni. Ammesso che in futuro una ragazza entri nella mia vita, ho ragione di credere che costei sarà un’italiana (tale per sbaglio) o un’anglosassone. Se ragionassi con organi non deputati a farlo forse mi risolverei a studiare il finlandese. Per me la cultura è un elemento estetico, indipendente e allo stesso tempo notevolmente minore rispetto alla personalità di un individuo, e per poterne godere credo che non debbano esserci barriere linguistiche. Eros e logos sono simbiotici, ma qualcuno cerca sempre di contrapporre l’uno all’altro per rendere più sopportabile nei suoi legami la mancanza eccessiva di uno dei due elementi. Fottere senza parlare né capirsi è come parlare e capirsi senza fottere. Del triumvirato mi mancano due terzi, perché finora nella mia vita ho parlato, però forse non mi sono fatto capire (o magari io non ho capito) e per fottere i tempi non sono ancora maturi anche se i fiori cominciano già ad appassire. Inclinazione troppo cervellotica? Eh, beh: fanculo. Tra le tracce di vario genere che ascolto durante i miei vagabondaggi, ce n’è una particolare che in questi giorni metto in repeat piuttosto spesso per infondermi un po’ di sana malinconia, senza eccessi.

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21
Gen

Kameoka, Arashiyama, Hozugawa e occhi azzurri

Pubblicato venerdì 21 Gennaio 2011 alle 16:50 da Francesco

Spinto dal desiderio di fare un giro sul fiume Hozu, due giorni fa mi sono recato a Kameoka. Per raggiungere l’imbarco sono dovuto passare da Kyoto, dove poi ho preso un altro treno della linea Sagano fino alla cittadina summenzionata. La mia scarsa conoscenza del giapponese mi ha permesso tuttavia di chiedere informazioni precise per arrivare alla banchina e, lo devo ammettere, sono stato davvero contento di essere riuscito a raccogliere un frutto piccolissimo dallo studio intermittente della lingua.

Il tragitto è durato quasi due ore, nel corso delle quali ho contemplato entrambe le sponde del corso d’acqua, a tratti persino innevate, ma spesso spoglie. Il fiume Hozu offre alcune rocce dalla foggia particolare, tuttavia queste non mi hanno impressionato granché e sono rimasto colpito dall’insieme degli elementi naturali più che da qualche dettaglio. Mi è piaciuta molto l’escursione e vorrei ripeterla durante una giornata primaverile, per farmi rapire dall’incanto roseo dei ciliegi fioriti che già una volta ha sequestrato i miei sensi: mai sindrome di Stoccolma fu più piacevole.

A cotanta bellezza, imponente e algida, s’è aggiunta una visione celestiale. Nel corso della traversata ho conosciuto due ragazze australiane, credo mie coetanee, con le quali tuttavia ho cominciato a parlare in modo più approfondito soltanto ad Arashiyama, quando siamo sbarcati. Insieme abbiamo visitato l’esterno del tempio Tenryu-ji e un bosco di bambù che ho trovato davvero meraviglioso.
Una di queste due ragazze aveva degli occhi azzurri in cui mi sarei perso volentieri per tutto il resto della mia vita, magari a bordo di un’arca, o di una zattera, o semplicemente a cavallo di un canotto gonfiabile a forma di coccodrillo. Inoltre sono stato colpito e affondato dalla nicchia in cui questo sguardo era custodito, ovvero nei lineamenti britannici della ragazza, esponenti essenziali di una normalità stupefacente senza il supporto friabile del make-up. Non mi era mai successo nulla del genere. Avrei voluto conoscere ogni cosa di quella cittadina australiana, parlarle per ore e ore, ma le nostre strade si sono separate alla stazione di Kyoto. Non ho neanche fatto in tempo a dirle quali rare sensazioni aveva suscitato in me, e credo che se lo avesse saputo almeno un po’ le avrebbero fatto piacere le mie parole. Diamine, se credessi al destino dovrei andare a prenderlo per la collottola e redarguirlo: “Oh, ma sono scherzi da fare brutto infame?”. Alla fine sono tornato a Shin-Osaka e poi da qui a Tennoji, dove ho comprato qualcosa da mangiare prima di rincasare ad Abeno. Durante il ritorno ho continuato a pensare a quella visione celestiale e, senza che ce ne fosse ulteriore bisogno, ho compreso quanto sarebbe stato bello condividere certi momenti con qualcuno. Ogni tanto mi pare che le coincidenze s’impegnino a ricordarmi quanto sembra che l’abitudine mi induca a dimenticare. Fino a quando certi eventi avranno una tal presa su di me, io non sarò mai solo pur essendolo fisicamente. Anche stasera, dopo una prima udienza con la rete cigolante del mio letto, lascerò il compito di conciliarmi con il sonno all’immagine che ho incensato finora.

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18
Gen

Frammenti di una mezza giornata e podologia

Pubblicato martedì 18 Gennaio 2011 alle 07:28 da Francesco

Viste da lontane, le disgrazie italiane sembrano ancora più piccole e mediocri al cospetto del mondo. L’ignoranza diffusa in una larga parte dei miei connazionali, l’egoismo connaturato nella nazione di cui faccio parte e la saccenteria dei governanti (come dei loro oppositori) non ispirano il mio rimpatrio, benché a quest’ultimo manchino ancora svariate settimane. Mi sento atipico come italiano, ma per fortuna non sono un caso isolato. All’estero ho sempre la sensazione di essere un rifiuto riciclabile, a differenza di altri per cui credo che un recupero sia improponibile. Ovviamente non idealizzo il Giappone come fanno certi occidentali e per vivere preferirei decisamente Taiwan al Sol Levante poiché, per ragioni storiche e culturali, la ritengo un incrocio perfetto tra la Cina e l’arcipelago nipponico. Comunque non intendo neanche toccare i temi che tengono banco nel Bel Paese, concernenti papponi e zoccole, materia pregiata di questi ultimi giorni per i media italiani, bensì voglio procedere con il contenuto reale di questo appunto derogato.

L’altro ieri ho fatto un salto a Kyoto. Dalla stazione di Shin-Osaka, tramite un treno della JR e pagando 540 yen ho impiegato meno d’un ora per raggiungere quella che un tempo era chiamata Heian. Mi sono recato al castello Nijo, edificato per volere del celebre Tokugawa, inoltre ho visitato il Palazzo Imperiale, ma di quest’ultimo soltanto la parte esterna poiché l’ingresso era chiuso. Mi sono trovato in una Kyoto imbiancata e ho passeggiato sotto una nevicata improvvisa che ha donato candore e gelo alle mie visioni invernali. Non ho incrociato nessuna geisha (né a Kyoto né nel resto della mia vita), però ho notato diverse donne in abiti tradizionali. Mi sono fermato vicino al fiume Kamo con un ragazzo giapponese che parlava la lingua del generale MacArthur: insieme a costui, Iuto è il suo nome, ho discorso di qualche stereotipo tricolore e di calcio.

Kyoto merita un approfondimento, ma dovrei tornarci con condizioni climatiche più favorevoli. Ho in mente di fare un percorso fluviale, ma non so se in questo periodo sia fattibile. I miei piedi cominciano ad accusare le decine di chilometri che ogni dì sono chiamati a sostenere, difatti sotto il mignolo del piede destro si è formata una protuberanza notevole. Non ho portato con me le scarpe da running, per cui credo che alle calzature vada imputata la strage dei miei piedi. Ho soltanto un paio di Nike economiche e forse dovrei sostituirle. Non mi va poi tanto male, specialmente pensando a ciò che proteggeva i piedi dei soldati italiani in Russia durante la Seconda Guerra Mondiale.

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15
Gen

Osaka

Pubblicato sabato 15 Gennaio 2011 alle 12:05 da Francesco

Din don, un’altra comunicazione di servizio. Sospendo temporaneamente il silenzio stampa (che si concluderà del tutto al termine della stesura del mio terzo libro) per annotare la mia terza esperienza nipponica in una lingua che non sia ideografica, in modo che sia fruibile a qualcuno a cui in fondo lo devo. Questo è la prima parte di una serie di appunti che redigerò durante la mia permanenza. In futuro questa premessa scomparirà.

Sono arrivato a Osaka l’undici gennaio. Adesso risiedo in un monolocale che ho preso in affitto per un mese dalle parti di Abeno, nella zona meridionale della metropoli. Questa è la terza volta che metto piede sul suolo nipponico e mi auguro che non sia l’ultima. Ho scelto di ritornare in Giappone poiché ho trovato un biglietto aereo piuttosto economico, altrimenti avrei optato per la Malesia e per Singapore.
L’atmosfera cosmopolita di Tokyo per me rimane insuperabile, tuttavia Osaka ha un suo fascino. Più decadente e nostalgica della capitale, l’antica Naniwa mi ricorda un po’ Seoul. Ho già cominciato a macinare molti chilometri e finora sono ricorso poche volte alla metropolitana. Ho visitato il museo della scienza, nei pressi della stazione di Nakanoshima e quello di storia, prospiciente il castello di Osaka, anch’esso meta del mio vagabondaggio istruttivo.

La mia dieta ormai è basata su nikuman e onigiri, tuttavia la mia linea non ne risente poiché ogni giorno macino chilometri su chilometri con lo zaino sulle spalle. Se il consumismo fosse misurabile in metri, probabilmente quello che si estende lungo Tenjimbashi-Suji per oltre due chilometri e mezzo con negozi, ristoranti e quant’altro, ne costituirebbe una delle massime espressioni.

Le mie camminate in terra straniera assumono sempre le proporzioni dell’esodo biblico. Sono passato anche dalle parti di Namba, dove mi sono tagliato i capelli. La scrupolosità e il tempo impiegato mi ha fatto domandare se il barbiere avesse alle spalle un passato da chirurgo e sentisse la mancanze di quelle giornate che forse aveva trascorso in gran parte tra una nefrectomia radicale e l’altra. Ho filmato qualcosa durante questi primi giorni a Osaka e ho montato velocemente i frammenti digitali: nell’immediato futuro mi riprometto di fare altrettanto.

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