Ancor oggi l’amabile Gea osserva e ospita le corse chilometriche di cui il mio corpo oramai non osa più chiedermi conto. Sulla mia tavola abbonda la pasta integrale di farro, ma non devo mai preoccuparmi di prepararne più d’un piatto. Ottobre per me non è un mese d’ottenebramento e ritengo intatto il potenziale di ogni giornata che sia possibile annoverare tra le fila dell’autunno o fra quelle dell’inverno. Mi diletto ancora a tracciare degli ideogrammi su un quadernetto per allenare la memoria e stimolare la curiosità, ma non cerco di penetrare nella lingua giapponese più di quanto riesca a fare attraverso i miei sforzi incostanti. Sono molto contento del tempo che trascorro assieme a me, però spero di non diventarne troppo geloso. Oltre a un certo equilibrio interiore, posso anche usufruire delle tranquillità in cui versa al momento la zona geografica in cui risiedo e questi privilegi, per taluni scontati, tutt’oggi restano utopie ad alcune centinaia di chilometri a sud della mia regione. Io vivo quieto mentre l’esasperazione si prepara ad armare la gente onesta e qualora dovesse riuscirci io seguirò senza stupore i moti violenti. Sono pronto ad andarmene lontano al primo segnale d’instabilità della mia nazione e già posso immaginare le parole di commiato: “Amata patria, mai t’ho amato”.
Tra i miei pensieri, contro ogni aspettativa, ricorre ancora Ipazia di Alessandria e avverto un lieve disagio perché al desiderio di parlarle si contrappone la necessità di non farlo. Se io negassi questo conflitto d’intenti peccherei di rigore nei miei confronti. Le riconosco il merito involontario d’aver smosso il mio interesse dopo anni di staticità e mi piacerebbe incolparla del silenzio che ci siamo imposti se la realtà dei fatti mi consentisse di farlo. Vorrei conoscere i suoi recessi e mi piacerebbe indagare le promettenti avanguardie d’affinità che adesso sono trincerate nel mio manicheismo. Evidentemente vive anche in me e gode di buona salute quel bisogno congenito di complementarietà e mutue attenzioni, tuttavia non pretende più di quanto io abbia e placido accetta la sua nullatenenza. Ai piedi di queste righe resta ancora una volta un fiore di ninfea con il suo significato mitologico. Contento e incompleto saluto il nuovo mese con lo sventolio di una contraddizione piacevole.
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