Nell’ultima settimana ho trascurato la correzione del mio secondo libro per dedicarmi all’attività fisica e ad altre partecipazioni come comparsa in una fiction mediocre della RAI di cui, per altro, ho pubblicato alcune foto in un breve appunto dello scorso mese. Ieri, prima di andare sul set, ho dimenticato di applicare un po’ di crema protettiva al mio volto e alla fine della giornata mi sono ritrovato con un viso completamente rosso. Mi duole la fronte, ma questo è il prezzo ustionante della mia disattenzione. Finora ho lavorato come comparsa sette volte e mi sono sempre divertito. La retribuzione è buona per lo scarso sforzo che devo profondere. Qualche volta tra una scena e l’altra i tempi morti sono piuttosto lunghi, ma si prestano a farsi riempire con una sana goliardia e un cazzeggio vigoroso che né io né i miei colleghi ci facciamo mai mancare. È un’esperienza simpatica e piacevole che spero di ripetere per aggiungere ulteriori fondi ai miei viaggi futuri.
Sono venale nella misura in cui l’ausilio del lucro risulti indispensabile per un progetto di più ampio respiro, ma non inseguo il denaro con ogni mezzo disponibile e di conseguenza non mi sarei mai potuto aggregare al trio di rapinatori che ieri pomeriggio ha provato a svaligiare una banca di Capalbio Scalo. La stampa locale ha descritto con toni sensazionalistici la rapina alla filiale del Monte dei Paschi di Siena, ma da quanto ho capito i tre criminali sono stati fermati dopo una breve ricerca che è stata inframmezzata da qualche conflitto a fuoco.
Sul set vesto i panni di un poliziotto della scientifica, tuttavia non ho battute da dire e agisco sempre sullo sfondo dell’inquadratura principale. Il mio ruolo mi ha permesso di conoscere alcuni poliziotti veri e un carabiniere del mio comune; proprio a quest’ultimo, il giorno precedente al fatto succitato, avevo domandato: “Hai mai dovuto esplodere qualche colpo?”. A proposito di delinquenza devo annotare il ritorno di Bogdan a Orbetello. Non vedevo il rumeno da qualche anno e non lo sentivo da parecchio tempo, ma quando l’ho incontrato alla stazione ferroviaria mi ha raccontato un po’ degli otto mesi che ha trascorso in una prigione tedesca per aver provato a clonare alcune carte di credito assieme ad altri dilettanti come lui. Mi ha detto che la prigionia non è stata proprio male poiché riceveva dei pasti abbondanti e poteva svolgere diverse attività, tuttavia faceva fatica a reggere dal punto di vista mentale e secondo lui sarebbe impazzito se fosse rimasto ancora qualche mese là dentro.
Forse mi potrei proporre alla giustizia per vivere un’esperienza carceraria, ma immagino che in Italia per farmi aprire i cancelli di una prigione dovrei quantomeno attentare alla vita del Presidente della Repubblica. In ogni caso, qualora intendessi davvero entrare nel club dei pregiudicati, potrei recarmi da un avvocato per sfogliare le pene previste dal Codice Penale a mo’ di Postalmarket e scegliere quella più adatta alle mie esigenze detentive; il costo? Ampie porzioni di coscienza.
Ogni tanto mi piace appuntare e persino condividere le mie impressioni su alcuni dischi. Un elenco completo mi richiederebbe troppo tempo e inoltre risulterebbe dispersivo, però qualche titolo con annesso parere posso offrirlo a queste pagine.
Quarto Tempo è un disco di Roberto Cacciapaglia che ho scoperto qualche mese fa. Si tratta di un album strumentale che trovo molto evocativo. Il pianoforte del compositore meneghino si snoda per dodici tracce e secondo la mia modesta opinione tocca il suo punto più alto in “Nuvole di Luce”. Questo disco lo considero adatto per rilassarmi o per accompagnare quelle riflessioni che non hanno bisogno di un silenzio completo. C’è qualcosa nello stile di Cacciapaglia che mi ricorda un po’ Keith Jarrett in “Sacred Hymns” e probabilmente quest’impressione è dovuta al fatto che entrambi nutrono interesse per la figura di Gurdjieff.
Stationary Traveller è l’album dei Camel che preferisco ed è anche uno tra i dischi che apprezzo di più nell’ambito del progressive rock. Il punto più esaltante per me è la title track, una delle quattro tracce strumentali che si trovano in quest’album di dieci pezzi; in particolare mi entusiasma l’ingresso della chitarra di Andy Latimer verso il terzo minuto del brano succitato. Credo che sia un disco abbastanza orecchiabile e mi rendo conto che possa indurre qualche purista del genere a storcere un po’ il naso, ma per me resta un grande album.
The Rise and Fall of Manuel Noriega è un insieme di quattordici tracce che tocca vari sottogeneri della musica elettronica. Questo è un album prettamente strumentale che offre atmosfere cupe ed evoca la figura dell’ex dittatore panamense dalla copertina fino all’ultima nota. L’autore è un olandese, tale Legowelt del quale non ho mai ascoltato altre produzioni. Reputo “Avianca” il manifesto sonoro dell’intero disco.
Time to be King è l’ultimo sforzo dei Masterplan che si ripropongono al pubblico con una formazione coriacea. Il ritorno di Jorn Lande alla voce mi ha spinto ad ascoltare l’album in questione e già dalle prime tracce ho dipanato ogni dubbio sulla qualità del lavoro in studio. Non è un disco prolisso, ma lo trovo molto intenso e robusto. Secondo me il power metal dei Masterplan sfugge un po’ ai canoni moderni del genere, ma non suona affatto vetusto. Un disco esaltante, adatto tra l’altro per l’allenamento pesistico quanto per quello podistico.
Season of the Assassin è il debutto di Vinnie Paz benché egli sia un veterano nell’hip hop e abbia già sfornato diversi capolavori assieme a Stoupe nei Jedi Mind Tricks. Adoro il flow del rapper statunitense e anche una buona parte delle basi di cui si avvale per i ventuno pezzi del suo disco. È un album recente e gode di un’ottima produzione. Per quanto mi riguarda, trovo che quasi tutte le collaborazioni siano azzeccate, in particolare quella con Shara Worden, quella con Ill Bill e Demoz e, ovviamente, quella con il buon vecchio R.A. the Rugged Man che non mi delude mai.