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Introspezione retrospettiva: terza parte

Tra la prepubertà e la tarda adolescenza ho custodito regolarmente delle fantasie affettive in relazione all’altro sesso. A letto, prima di addormentarmi, assumevo spesso una posizione fetale e solevo cingere uno dei miei due cuscini per ricreare dei momenti d’intima dolcezza. Tutto ciò avveniva in modo spontaneo e mi faceva sentire bene, in particolare di domenica, quando alla possibilità di dormire più del solito si aggiungevano gli effetti di quella simulazione sentimentale. Non escludo che a quel tempo l’assenza di rapporti con le mie coetanee, oltre alla timidezza coeva, sia dipesa in minima parte anche dalla mia disponibilità a farmi bastare quelle fantasticherie notturne per soddisfare le mie esigenze emotive. Alla luce dei particolari anzidetti mi permetto di suppore che già allora in me fosse nascente l’attuale concezione dell’amore, seppur in una forma ancora grezza. Probabilmente le mie prime conclusioni sono state ideate attraverso gli sbagli altrui che ero abituato a ricavare in modo naturale dai discorsi degli adulti, durante quei pranzi e quelle cene in cui venivano consumati piatti abbondanti e sistemi nervosi. Senza saperlo io giocavo con le contraddizioni che udivo, giustapponendole e incastrandole come dei mattoncini colorati fino al punto di ottenere delle costruzioni rivelatrici.
Da adolescente non mi sono mai esposto ai pericoli dei rifiuti, però ho accolto le attenzioni di alcune ragazze curiose e sulla scorta di cotanta superficialità si sono originate delle infatuazioni platoniche piuttosto ridicole da cui ho comunque saputo trarre qualche insegnamento.
Ricordo una certa pudicizia nelle mie prime fantasie amorose che io faccio risalire all’età di dieci anni. Ricordo che allora l’idea di un bacio mi catapultava in un imbarazzo tremendo e quasi non riuscivo a concepirla. Provavo una sensazione analoga ogniqualvolta appoggiassi  la mano destra sulla zona vuota di un banco scolastico: mi sembrava di mettere il palmo sulla parte superiore di una coscia. Non sono mai riuscito a risalire fino all’origine di questo turbamento, ma credo che abbia evidenziato una dissonanza tra la totale estraneità all’erotismo e le prime masturbazioni, in concomitanza delle quali è poi sparito del tutto.
La mia fantasia nell’arco di tempo in esame si è divisa tra la pornografia e il desiderio profondo di avere una relazione: in seguito questi livelli della mia immaginazione si sono sovrapposti per conformarsi all’idea idilliaca di un legame completo. Se in questa fase delicata del mio sviluppo io avessi avuto una relazione sentimentale forse la mia mente si sarebbe impigrita e avrebbe compromesso o almeno reso più difficoltoso il mio percorso introspettivo. Quest’ultimo dettaglio non è nuovo, però mi piace riproporlo di tanto in tanto poiché lo considero come l’aneddoto di qualcuno che abbia scampato un pericolo enorme.
Anche grazie a questo iter tortuoso sono giunto a un livello di autocoscienza che reputo buono. Il processo di cambiamento è stato così veloce in me che ha doppiato la vecchia identità, ma a uno sguardo estraneo potrebbe sembrare che quest’ultima sia ancora in testa, anche in senso letterale. Un mutamento graduale e costruito sarebbe stato possibile da parte mia, ma avrebbe snaturato completamente la mia personalità per adeguarla a maggiori occasioni sul piano delle relazioni umane. La mia introspezione ha escluso l’evenienza dell’anaffettività nel mio carattere e per me già questo particolare è un motivo di contentezza abnorme, ma forse se me lo facessi bastare mi ridurrei ad ammodernare l’errore che fu proprio della mia pubescenza. È un segno di salute psichica la mia voglia d’amare ed è un capolavoro dell’autoanalisi la mia capacità di non sentirmi frustrato né amareggiato per l’attuale impossibilità di farlo, ma su questo punto non intendo spendere altre parole poiché in più occasioni ho incensato giustamente il mio stato d’animo e, per quanto sia stupefacente, a ‘na certa pure io mi rompo i coglioni di elogiarlo.

Francesco

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